Rai Scuola

Il tuo browser non supporta video HTML5

Cervello

Le parole del nuovo millennio

La parola italiana cervello deriva da quella latina cerebellum, con cui i latini designavano l’organo contenuto all’interno della nostra scatola cranica. Oggi la parola rischia di generare qualche confusione perché quella parola latina, cerebellum, in realtà è passata nella lingua inglese a designare il cervelletto, che è un altro piccolo organo vicino al cervello vero e proprio che sta all’interno della nostra scatola cranica.

Bisogna quindi prima di tutto fare un po’ di ordine tra le parole. Noi oggi designamo come encefalo tutto quanto sta all’interno del nostro cranio, che in realtà però è fatto di tre componenti principali: il tronco encefalico, che è la base su cui appoggia il cervello, il cervelletto, per l’appunto, un piccolo organo, una dependance del cervello che è importante soprattutto per il controllo del movimento, e il cervello vero e proprio, la cosiddetta materia grigia. Tutti e tre fanno parte del sistema nervoso centrale che è una cosa più ampia ancora che comprende anche il midollo spinale, quello che corre lungo la colonna vertebrale e che quindi si estende quasi per tutto il corpo umano e non solo all’interno del cranio.    

Parole a parte, il cervello è sempre stato l’organo più affascinante e, per certi versi, più misterioso del corpo umano. Affascinante perché da molto tempo è chiaro agli esseri umani che il cervello è la sede delle facoltà mentali, dell’intelligenza, del pensiero. Misterioso perché è l’organo più difficile da studiare. E’ per ovvi motivi estremamente difficile vederlo in azione, capire che cosa al suo interno produce quella cosa incredibilmente complessa che è il nostro pensiero.

Per molto tempo la conoscenza che gli scienziati hanno avuto del cervello e del suo funzionamento veniva essenzialmente dai casi patologici, da pazienti che per qualche motivo (un incidente, un ictus, per esempio, o un tumore) avevano perso una parte del loro cervello e per questo perdevano alcune facoltà particolari, e proprio l’associazione tra il tipo di lesione che avevano avuto e il tipo di facoltà che perdevano permetteva agli scienziati di fare delle ipotesi sulle funzioni delle diverse parti del cervello. Celeberrimi in questo senso gli studi di Paul Broca sul linguaggio, basati su pazienti afasici appunto che proprio per qualche lesione avevano perso qualche tipo di capacità linguistica.

Oppure la conoscenza del cervello derivava dalle autopsie, da cervelli prelevati dopo la morte e studiati dopo la morte per capire se qualcosa nella loro forma o nelle loro dimensioni fosse correlato con le caratteristiche della persona che ne era stata il proprietario.

In questo senso nella prima parte del secolo XX era molto comune conservare e studiare i cervelli di persone celebri. Tanto per fare un esempio, il cervello di Albert Einstein è stato conservato e studiato a più riprese per capire se qualcosa nella sua dimensione, per esempio, in qualche modo potesse spiegare la straordinaria intelligenza dell’uomo che ne era stato il proprietario.

Intorno agli anni ’80-’90 del XX secolo arriva una rivoluzione con tecnologie come la PET, la tomografia a emissione di positroni, o la risonanza magnetica, la cosiddetta fMRI, che permettono per la prima volta nella storia di osservare il cervello umano di una persona viva e sana mentre svolge diversi compiti in modo non invasivo, senza danneggiare la persona.

Oggi lo studio del cervello rappresenta forse l’area più eccitante delle scienze contemporanee, quella che sta vedendo gli sviluppi più rapidi e al tempo stesso che ha ancora grandi misteri da risolvere, perché esattamente come il cervello produca il pensiero veramente non lo sappiamo ancora, e quindi molto spesso ci si riferisce oggi al cervello come la prossima grande frontiera delle scienze.