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Tutela contro discriminazioni

Le parole del nuovo millennio

È l’art. 3 della Carta costituzionale a fissare il principio di uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzioni di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche o condizioni personali e sociali.

È lo stesso art. 3, nel 2° comma, a imporre allo Stato di adottare tutti gli strumenti che consentano di superare gli ostacoli alla piena realizzazione del principio di uguaglianza. È in questa finalità che trova giustificazione la legislazione diretta a reprimere tutti i comportamenti discriminatori che derivino o da privati o da pubbliche amministrazioni.

Nel corso del tempo abbiamo avuto infatti tutta una serie di interventi legislativi che sono stati finalizzati a consentire alle vittime di comportamenti discriminatori di poter ottenere, in sede giudiziale, la repressione di questecondotte discriminatorie e la rimozione degli effetti che queste condotte avevano in concreto determinato.

Da questo punto di vista particolarmente importante è il cosiddetto codice delle pari opportunità tra uomo e donna nel mondo del lavoro. È da questo testo legislativo infatti che si ricava il divieto di discriminazione, da parte del datore di lavoro, nell’accesso al mondo del lavoro per ragioni di genere.

Parimenti, da questo testo legislativo ricaviamo il diritto alla identica retribuzione tra lavoratrici e lavoratori a parità di mansioni svolte.

Maggiormente la realizzazione della parità nel mondo del lavoro per lo stesso codice delle pari opportunità ha previsto anche la possibilità che vengano adottate azioni cosiddette positive, sia a livello nazionale sia a livello locale, che portino al superamento di ostacoli concretamente individuati alla effettiva realizzazione della parità tra uomo e donna nel mondo del lavoro.

Va anche sottolineata dal punto di vista processuale l’attenuazione che il legislatore ha previsto a favore delle vittime di comportamenti discriminatori circa l’onere probatorio di queste condotte.

Il nuovo articolo 28 del decreto legislativo 150 del 2011, infatti, ha previsto che nei giudizi che abbiano ad oggetto l’accertamento e la repressione di condotte discriminatorie, quale che sia la ragione della discriminazione, di utilizzare la cosiddetta prova statistica, cioè la possibilità che la vittima del comportamento discriminatorio utilizzi dati statistici a sostegno delle proprie ragioni. Dati statistici che dimostrino la condotta discriminatoria già nel passato adottatadalla controparte.