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Annibale Carracci: Natura e Ideale

Una mostra a Bologna del 2006

Perché una mostra su Annibale Carracci ? 

"È ora di finirla con "i Carracci". Lui era un essere individuale, aveva dei fratelli molto bravi, ma lui era più bravo di tutti
Eugenio Riccomini

Tratto da Carracci che Sorpresa (2006), nell'estratto qui proposto, Philippe Daverio accompagna lo storico dell'arte Eugenio  Riccomini nella sale della prima mostra monografica dedicata ad Annibale Carracci (Museo Civico Archeologico, Bologna, 2006). 
Annibale Carracci (1560-1609) è stato artefice di un’autentica  riforma del linguaggio pittorico: partendo da un rigoroso studio del vero, l'artista rinnova lo stile artificioso tardo manierista e concilia la sua idea di naturalismo con l'ideale classico. 

I giudizi critici di antichi teorici non resero giustizia ad Annibale, spesso etichettato come “eclettico", per la straordinaria capacità dell'artista di interpretare la lezione dei suoi predecessori

Negli anni bolognesi, infatti, nel giovane fu importantissima l’influenza esercitata dalla pittura veneziana di Tiziano, Tintoretto e Veronese, nonché Correggio, artisti visti e conosciuti in alcuni ripetuti viaggi studio tra Venezia (1582 e 1589) e Parma (1586 e 1587). A Bologna, inoltre, Annibale conciliava i richiami classicisti di Raffaello, presente in città con la pala della Santa Cecilia, con stimoli provenienti d’oltralpe che portarono nella cultura felsinea il gusto per il paesaggio.

La fine di una visione antropocentrica, che metteva l'uomo al centro del creato, a favore di una nuova mentalità che esaltava il naturale, inizia dopo la seconda metà del Cinquecento con la venuta in Italia dei pittori fiamminghi

Sparsi tra Roma e il nord Italia, figure come Adam Elsheimer (1578-1610), portarono la pittura di “paese” o “paesetto“, come allora detto il paesaggio, al ruolo di protagonista indiscusso della rappresentazione, tanto da mettere in secondo piano la narrazione storica e ridurre le figure, anche se personaggi sacri,  a piccole comparse.  
Il paesaggio, salvo rari casi, era sempre stato trattato come fondale per scene di storia e il messaggio del dipinto, veicolato dalla figura umana. 
Annibale Carracci, fin dalle stupefacenti prove di Palazzo Fava e Magnani (L'esordio di Ludovico, Annibale e Agostino Carracci), rappresenta fondali naturali come centro della composizione e non più come sfondo. 


Claude Lorrain, Paesaggio pastorale, 1644, Musée des Beaux-Arts, Grenoble

Nella Roma del primo Seicento, questi paesaggi naturalistici, daranno il via allo sviluppo del “paesaggio ideale” con i capolavori di Nicolas Poussin (1594-1665) e di Claude Lorrain (1600-1682).
Nel Cinquecento, l’attenzione al paesaggio si concretizzerà in alcuni trattati generali sulla pittura (Sebastiano Serlio, 1545; Cristoforo Sorte,1580) dove, l’aspetto “scenografico”, suggeriva “tre piani” da adottare per rendere la profondità della composizione pittorica: il primo, quello intermedio e lo sfondo. Uno schema ripreso da Annibale con una definizione e una chiarezza del tutto nuove, che vanno al di là del tema del “lontano”, espresso da Raffaello e soprattutto da Leonardo con la “prospettiva atmosferica”.
Annibale non si accontenta della resa “matematica” della profondità, ma si serve del colore e della maestria nel dosare differentemente l’intensità dei toni per rendere l’atmosfera e i contorni degli elementi paesistici, nonché, giochi di luce inediti.


Annibale Carracci, Paesaggio fluviale, 1589 ca., olio su tela, 89x148cm, National Gallery of Art, Washington

Felice esempio della produzione paesaggistica pre-romana di Annibale, contemporanea agli affreschi di Palazzo Magnani, è Paesaggio fluviale, dove emerge un tutto raccordato dall’acqua, elemento fondamentale dei suoi paesaggi nel rendere la percezione dell’umidità atmosferica, come nella tradizione veneziana cinquecentesca.


Annibale Carracci, Fuga in Egitto, 1603, olio su tela, Galleria Doria Pamphilj, Roma

Con grande l’abilità, al suo arrivo a Roma Annibale adatta le sue esperienze ai criteri romani, dando vita al “paesaggio ideale”. Capolavoro indiscusso, la lunetta della Fuga in Egitto (1603), dove i personaggi sacri paiono fondersi nello scenario naturale, in una pittura al limite fra cristianità e paganesimo.

Inizia con quest'opera italiana, la fortunata vicenda del paesaggio moderno come scoperta della poesia della campagna romana

Tutto in quest’opera parla di un sottile e ricercato equilibrio emozionale fra il dramma umano e la varietà, quasi enigmatica e incommensurabile, della natura la cui luce diffusa veicola la fusione concettuale tra vicenda umana e paesaggio. 

Pur rappresentata al centro, la Sacra famiglia in fuga ha un ruolo paritario al paesaggio, al gruppo di alberi a sinistra, alle colline tra le quali scorrono i fiumi, ai cespugli e alle montagne lontane

La lunetta della Fuga in Egitto fu commissionato ad Annibale Carracci dal Cardinale Pietro Aldobrandini, assieme ad altre cinque, quasi tutte realizzate da allievi su disegni del maestro (Francesco Albani, Giovanni Lanfranco, Sisto Badalocchio), per decorare la cappella privata del palazzo. 


Annibale Carracci, Annunciazione, 1582-1588 ca., olio su tela, Collezione Alana, Newark

Negli anni bolognesi, la pittura di Annibale prendeva vita accanto a quella di Ludovico ed Agostino, una collaborazione comunitaria che spesso li vede intercambiabili su progetti comuni. Inoltre, le commesse provenivano spesso da Ludovico, responsabile della loro Accademia, per questo, l'attribuzione delle pale d'altare di questo periodo, è oggi talvolta ancora controversa.
L'Annunciazione di Annibale (Collezione Alana, 1582-1588), soggetto di fondamentale importanza dottrinale per la Chiesa cattolica, è un tipico esempio di pala d'altare di controriforma dove, come nel Vangelo di Luca (I,26-38), l'Arcangelo Gabriele visita la giovane fanciulla in Galilea per dare l'annuncio.
Allineato ai dettami di Paleotti, Annibale propone l'iconografia convenzionale con tutti gli elementi simbolici dalle sacre scritture. Maria nella sua camera inginocchiata e in abiti modesti, un cesto di maglia simbolo dell'educazione della Vergine, un Arcangelo alato vestito di una tunica bianca bordata di trecce d'oro e il giglio in mano, attributo della purezza della giovane donna. Manca solo la colomba dello Spirito Santo che scende verso la Vergine in un raggio di luce, ma è probabile che questo elemento, nella parte superiore del dipinto, sia stato tagliato, come conferma l'analisi della tela.
L'Annunciazione di Annibale, tuttavia, è sorprendentemente originale nella resa dell'intimità e dell'umanità dei personaggi. Un decennio prima del debutto di Caravaggio a Roma, i tre Carracci diffondevano un'arte che comunicava profonde emozioni attraverso l'osservazione rigorosa e impassibile del mondo naturale. 

Nella pittura dei Carracci, risiede un’analisi  dei  sentimenti volta ad individuare i moti interiori dell'anima 

Con la "pittura degli affetti", così detta all'epoca, iniziano a delineare modi e gesti veri dei singoli personaggi al fine di convincere il fruitore, dato che l’arte, ora più che mai, deve persuadere e stabilire un tramite tra l'uomo e Dio. 
Nell'Annunciazione, alcuni dettagli sono descritti con mirabile scioltezza: l'orecchio della Vergine coperto da velo trasparente, i giochi di luce tra le pieghe di un panno di velluto, la manica di mussola leggera dell'Angelo, che si increspa mentre cade sul braccio alzato, la forma e il colore preciso del giglio. 

Annibale, come anche il cugino Ludovico, dona a questi umili soggetti un'immediatezza e una simpatia senza precedenti 

Quando Annibale traspose questo audace naturalismo dalle scene di genere (Il Mangiafagioli di Annibale Carracci), alle pale d'altare, provocò uno scandalo pubblico, tanto che, racconta Malvasia, Ludovico mandò lui e Agostino in viaggio studio a Venezia e Parma, per allontanarli dalla città.
Fu allora, per non perdere "la via del decoro", che Ludovico insegnò al giovane cugino come temperare la rudezza della natura con toni di eleganza e abbellimento. Annibale accese la tavolozza con i brillanti colori di Tiziano e Veronese e  introdusse dolcezza e sfumato "alla maniera di Correggio. 


Madonna col Bambino in gloria e i Santi Lodovico, Alessio, Giovanni Battista, Caterina, Francesco e Chiara, 1590-1592, Pinacoteca di Bologna

Madonna col Bambino in gloria e Santi (1590-1592), è un chiaro esempio del cambio di registro di Annibale, in occasione di una commissione pubblica impegnativa destinata all'altare maggiore della chiesa francescana dei Santi Ludovico e Alessio. All’epoca, poco più che trentenne, Annibale matura un nuovo e rispettoso "senso di decoro" nei confronti della Vergine, qui resa più bella, all’interno del gruppo di Santi.  Per gli attributi, si riconoscono Caterina, Chiara, Francesco e Alessio, quest'ultimo, raffigurato a destra in veste di pellegrino, mentre Ludovico d’Angiò, a sinistra e in abito vescovile, ha la mitra posata a terra in segno di umiltà, un dettaglio di forte impatto realistico, prova di altissimo virtuosismo pittorico.

Nella composizione della pala, Annibale non si discosta dallo schema cinquecentesco del grande Raffaello e divide il dipinto in due piani nettamente separati, il gruppo dei Santi in basso e l’apparizione della Vergine, introdotta dal gesto di San Giovanni Battista, in alto

Inoltre, arricchisce l’impianto tradizionale immergendo le figure dei Santi nella luce argentea di un paesaggio influenzato dalla pittura dei grandi maestri veneti, da Giorgione a Tiziano e Veronese, approfonditi nel sui soggiorni in laguna.


Annibale Carracci, La Pietà, 1599-1600, olio su tela, 156x149cm, Gallerie Nazionali di Capodimonte, Napoli
La Pietà di Annibale (1600), fu realizzata per il cardinale Odoardo Farnese, lo stesso che a Roma aveva commissionato all'artista la volta del suo Palazzo. 
La tela, è uno dei capolavori indiscussi di Annibale a Roma, un esempio altissimo di sintesi tra Idea e Natura su cui si basa il classicismo del Carracci.
La composizione si ispira esplicitamente al gruppo marmoreo della Pietà di Michelangelo (San Pietro, Roma), una monumentale piramide articolata intorno alla diagonale del Cristo. Il modello classico tuttavia, non è mai ripreso dall’artista come mera citazione, ma sempre rivissuto con una rinnovata intensità emotiva suggerita da un’immagine di struggente patetismo, grazie all’uso drammatico delle luci e del colore. 

L’ambientazione notturna, i due blocchi di pietra del sepolcro e i due putti sulla destra, uno dei quali poggia il ditino sulla spina della corona di Cristo a terra, quasi a verificare se punge, creano intorno alle figure un racconto ed una effusione sentimentale palpitante di verità

Annibale restituisce al Cristo di Michelangelo il livore cadaverico e quel senso di totale abbandono alla morte che lo scultore aveva voluto evocare nella diagonale del braccio. Anche la statua della Vergine si rianima, il volto e il gesto della mano aperta, a mostrare con muto dolore il corpo senza vita del figlio, acquista una nuova e più tragica eloquenza espressiva, che sarà adottata dal barocco. 


FOTO DI COPERTINA
Annibale Carracci, Autoritratto, 1593, olio su tela, 24×20cm, Galleria nazionale, Parma