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Caravaggio e Narciso allo specchio

Un'opera di Palazzo Barberini

Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma (Palazzo Barberini e Palazzo Corsini), racconta la storia del Narciso (1597-'99), opera scoperta e attribuita a Caravaggio da Roberto Longhi nel 1916.

Ma fu davvero Caravaggio a dipingerlo? Pochi quadri del Merisi hanno innescato dispute così pungenti, dividendo gli studiosi in opposte fazioni e ad infittire il mistero, le scarse notizie disponibili sulla storia della tela

Nel corso del Novecento, le attribuzioni si alternano su diversi caravaggeschi, da Orazio Gentileschi (1563-1639) a Bartolomeo Manfredi (1582-1622), fino a Giovanni Antonio Galli, detto lo Spadarino (1585–1652).
Un restauro condotto, nel 1995, forniva indizi più concreti a sostegno dell’ipotesi di Longhi, condivisa anche da Rossella Vodret e Maurizio Marini. Alcune indagini radiografiche, evidenziarono la presenza di un’incisione tracciata con il manico del pennello sul fondo di pittura ancora fresco. Un segno tipico del modus operandi di Caravaggio che, almeno nelle sue opere meno affollate, pare avesse l'abitudine di fare a meno dei disegni preliminari. Inoltre, il dettaglio delle maniche a sbuffo e il particolare ricamo sul corpetto di Narciso, alla moda del tardo Cinquecento, tornano identici nell’abito della Maddalena (1595) del Merisi, conservata alla Galleria Doria Pamphilj di Roma


Caravaggio, Narciso, 1597-'99, olio su tela, 110x92cm, Palazzo Barberini, Roma

Conservato a Palazzo Barberini, il Narciso è uno dei quattro capolavori del Merisi contenuti nella collezione, assieme a Giuditta e Oloferne (1599; Caravaggio e la verità della storia), al San Giovanni Battista (1604-'06) e al San Francesco in meditazione (1605), quest'ultimo della Galleria Corsini. 
Nessun artista era riuscito a tradurre in pittura il mito di Ovidio del Narciso come Caravaggio si accinse a fare allo scadere del Cinquecento. 


Caravaggio, Narciso, dett., 1597-'99, olio su tela, 110x92cm, Palazzo Barberini, Roma

Narciso era un giovane cacciatore che per la sua bellezza faceva strage di cuori. Ultima, la ninfa Eco, talmente addolorata dall'indifferenza del giovane, da indurla a vendetta. 
Quando, nell’ombra di un fitto bosco, Narciso si china a bere su uno specchio d’acqua, s'innamora del proprio riflesso e credendo di aver incontrato un giovane bellissimo, invano cercherà di toccarlo
Mentre nelle fonti letterarie greche Narciso muore annegato nel tentativo di raggiungere l’altro (sé), nelle Metamorfosi di Ovidio, il giovane muore di dolore e il corpo sparisce, lasciando il posto al fiore che porta il suo nome.
L'iconografia del mito di Ovidio prevedeva molti elementi, il bosco rigoglioso, i cervi, il cane, l’arco del giovane cacciatore, i fiori a lui dedicati, ma Caravaggio cancella tutto questo e coglie il momento in cui Narciso si china sulla fonte e rapito, tenta di afferrare la propria immagine.



La bocca dischiusa, rende l’apice dello struggimento di Narciso che, resosi conto della natura paradossale del suo sentimento, si lascia morire.
Un insolito schema compositivo, dispone, come una carta da gioco, la parte inferiore speculare a quella superiore, un ribaltamento della tela di 180 gradi per ottenere la figura riflessa. 
La trovata del ginocchio nudo fa da centro di attrazione visiva e l’ampia manica a sbuffo accompagna lo sguardo verso la mano immersa nell’acqua nel tentativo di abbracciare quella forma ingannevole di sé, come narrato nelle Metamorfosi.

APPROFONDIMENTO
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