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Tiepolo pittore profano

Una biografia pittorica

Tiepolo, il “pittore profano” dopo due secoli e mezzo di “maniera moderna” riepiloga e conclude una fase artistica creando un distillato di pittura purissima del tutto autoreferenziale, un’arte fatta di arte e non di realtà
Tomaso Montanari

Sebbene nel Settecento calassero le attività mercantili di Venezia, la città divenne un importante polo artistico. Strappando alla seicentesca Roma Barocca il primato, la Serenissima riconquistava nella pittura quel ruolo principe che l’aveva distinta nel Cinquecento grazie a personalità di grande rilievo, in primis Giambattista Tiepolo (1696-1770). 
Nella Venezia del Settecento nasceva un mercato artistico fiorente dovuto, in parte, al fenomeno del Grand Tour che portava nella città moltissimi visitatori attratti dalle bellezze del paesaggio lagunare “ritratto”, nei più minimi dettagli, dal grande vedutista Canaletto (1697-1768). A Venezia giungevano da ogni parte d’Europa anche moltissimi artisti che favorirono scambi culturali fecondi e produttivi elevando la città a una dimensione internazionale grazie al diffondersi del proprio modo di intendere e produrre arte. 
Giambattista Tiepolo è stato il penultimo artista italiano capace di esercitare un’egemonia artistica al livello europeo; dopo di lui, un altro veneto, Antonio Canova (1757-1822), astro del Neoclassicismo, attivo soprattutto nella culla romana dell’antichità. 
Il documentario qui proposto, “Tiepolo pittore profano” (1996), racconta la parabola pittorica del grande artista veneziano autore, soprattutto, di grandi cicli di affreschi realizzati per ville e palazzi, cittadini e di campagna. 
Il documentario percorre la parabola artistica di un Tiepolo principalmente “frescante”, noto e richiesto da signori, principi e regnanti desiderosi di decorare all’ultima moda le loro ricche dimore. Da Udine (Udine, Città dei Tiepolo), a Venezia (Palazzo Ducale; Palazzo Labia, Palazzo Sandi, Palazzo Pisani Moretta), all’entroterra veneto (Villa Cordellina, Montecchio Maggiore; Villa Pisani, Stra; Villa Valmarana, Vicenza), fino alla Baviera dove Tiepolo decorò con i figli Giandomenico (1727-1804) e Lorenzo (1736-1776) la Residenza di Würzburg, per finire poi, negli ultimi anni di vita, alla corte di Madrid in veste di pittore ufficiale (Tiepolo pittore di corte a Madrid; Tiepolo a Würzburg e Madrid). 

Tiepolo inscena narrazioni estremamente teatrali, una cifra adottata sia negli affreschi, sia nelle tele sacre, anch’esse prive del pathos barocco e tutte incentrate sulla bellezza e l’eleganza di una realtà fittizia, fatta di sapienza pittorica

In queste atmosfere di luce, i racconti diventano quasi astratti: personaggi e cose s’incontrano dentro la cornice esibendo uguale rilevanza. Come attori di una recita le figure spogliate di ogni eccesso sentimentale dissimulano le note tragiche del racconto nella bellezza.
L’illusionismo prospettico portato ai massimi livelli dall’artista, non funge più da dispositivo di coinvolgimento dello spettatore come nel Barocco, ma diventa un mezzo per creare una realtà di favolosa. 


Giambattista Tiepolo, Banchetto di Antonio e Cleopatra, 1743, olio su tela, National Gallery of Victoria, Melbourne

Tiepolo nasceva da una famiglia benestante priva di alcuna tradizione artistica. 
Nel 1710, il giovane risulta già attivo presso la bottega di Gregorio Lazzarini (1655-1730), pittore eclettico capace di unire differenti insegnamenti della tradizione veneziana. Da lui, Tiepolo apprese i primi rudimenti, tra cui il gusto del grandioso e del teatrale.

Tiepolo non andò mai a Roma avendo i suoi maestri “antichi” molto vicini

Il pittore, infatti, era nato nella Venezia di Tintoretto (1518-1594) e soprattutto di Paolo Veronese (1528-1588), autore di scene affollate rese con una tavolozza brillante. Da lui, in particolare, Tiepolo apprendeva quel virtuosismo cromatico e compositivo adottato nelle sue gigantesche allegorie che celebravano le glorie di una nobiltà oramai avviata al declino (Tiepolo a Palazzo Labia, nel nome di Veronese e Palladio).   
Agli inizi del Settecento, era già sorta a Venezia una pittura Tardobarocca luminosa e tersa ispirata dalla scuola veneta cinquecentesca; il suo esponente di punta fu il pittore bellunese Sebastiano Ricci (1659-1734) che, con gli affreschi di Palazzo Marucelli a Firenze (1707-’08), in date precocissime, apriva la strada alle luci brillanti del Rococò italiano.

Sebastiano Ricci, Apoteosi di Ercole, 1707-’08, affresco del Soffitto del Salone d’Ercole, Palazzo Marucelli, Firenze 

Fin dagli anni giovanili, Tiepolo assorbiva rapidamente diverse suggestioni per elaborarle poi in uno stile proprio. Adotta anche la pittura “tenebrosa” di Federico Bencovich (1677-1753) e principalmente, del veneziano Giovan Battista Piazzetta (1683-1754) e del bolognese Giuseppe Maria Crespi (1665-1747), suoi contemporanei. Da loro, nei primi anni formativi, Tiepolo apprendeva la realtà delle cose “ritratte” con pennelli ricchi di materia.

Giovanni Battista Piazzetta, Rebecca ed Elezearo al pozzo, 1735–‘40, olio su tela, 102 x137cm., Pinacoteca di Brera, Milano

Tra il 1715 e il ’20, Tiepolo avvia la parabola di frescante a Venezia e nell’entroterra. Nel 1719, esegue gli affreschi della villa di Giovanni Battista Baglioni a Massanzago dove, per la prima volta, si avvale dell’aiuto di Girolamo Mengozzi, detto il Colonna (1686-1774), quadraturista di quinte architettoniche che accompagnerà il pittore per quasi tutta la carriera. 
Sempre nel 1719, Tiepolo sposava Cecilia, sorella del grande pittore vedutista Francesco Guardi (1712-1793), dalla quale avrà nove figli.


Giambattista Tiepolo, Il Martirio di San Bartolomeo, 1722, olio su tela, 167x139cm., Chiesa di San Stae, Venezia

Nel 1722, dipinge il “Martirio di San Bartolomeo”, uno dei massimi capolavori giovanili. La tela, fu realizzata per volontà testamentaria di Andrea Stazzio, patrizio veneziano che aveva stanziato una somma notevole per commissionare a vari artisti un ciclo di opere sulla vita dei dodici apostoli, destinate alla chiesa di San Stae.
Il taglio compositivo impostato sulle diagonali, i colori molto caldi e in prevalenza scuri, i contrasti di luce ombra violenti, sono tutti elementi che mostrano la forte vicinanza del giovane Tiepolo alla pittura di Piazzetta. 
 

Inoltre, la componente teatrale delle luci, accentuata nei gesti enfatici dei personaggi in posa, maschera l'effetto di tragedia a favore di una spettacolarità che vedrà la sua compiutezza nei futuri grandi cicli di affreschi

Tra gli anni Venti e Trenta del Settecento, Tiepolo si avvia alla maturità artistica grazie a commissioni pubbliche e private, soprattutto ad affresco, eseguite tra Venezia (Chiesa degli Scalzi; Chiesa dei Gesuati), Milano (Palazzo Clerici) e Bergamo (Cappella Colleoni, Duomo).  
La commissione più importante di questo periodo arriva da Dionisio Dolfin, patriarca di Aquileia che, nel 1726, gli affida alcuni affreschi per il Palazzo Patriarcale, o Vescovile, di Udine, capolavoro ultimato nel 1729 (Udine, città dei Tiepolo). 

Giambattista Tiepolo, Il Martirio di Sant'Agata, 1736, olio su tela, 350x170cm., Museo della Basilica del Santo, Padova

Nel 1734, gli viene commissionata la pala del “Martirio di Sant’Agata” per una delle cappelle radiali dell'abside della Basilica di Sant’Antonio a Padova; l’opera fu molto acclamata dai contemporanei. Interessante il confronto con un'altra pala dello stesso soggetto, dipinta quasi vent’anni dopo il ritorno dell’artista da Würzburg, per la chiesa dedicata alla Santa annessa al convento delle Benedettine di Lendinara. Data la posizione periferica di quest’ultima, l’opera non godette di particolari attenzioni malgrado riprendesse, senza replicare, il soggetto padovano. 
Nelle due versioni, Tiepolo narra un episodio carico di pathos e violenza evitando i toni melodrammatici, senza rinunciare alla resa realistica delle scene risolte con contenuta dignità. 

Agata pallida e bellissima volge gli occhi al cielo, quasi a lamentarsi debolmente dell’atroce mutilazione dei seni. Non c’è profluvio di sangue, le figure partecipano all’evento come attori

Una donna sorregge la Santa aiutandola a coprire il torso mutilato; la figura del boia osserva la donna e ripone la spada in un’esasperata torsione del corpo; alcune figure con turbanti orientali osservano la scena. Sopra alle spalle del carnefice, una nuvola accoglie San Pietro benedicente con un angioletto.


Giambattista Tiepolo, Il Martirio di Sant'Agata, 1755, olio su tela, 184x131cm., Gemäldegalerie, Berlino 

Nella versione di Berlino, Tiepolo appare un pittore già maturo, capace di conferire una forza drammatica ben superiore della pala precedente. Sant’Agata e le figure che la circondano appaiono più ravvicinate, l’ambientazione semplificata, i colori più scuri e la materia più densa. La movimentata figura del trucido carnefice viene caratterizzata dal rosso dell'abbigliamento che richiama la spada insanguinata. Da un punto di vista compositivo, nonostante l'impostazione asimmetrica, Tiepolo riesce a definire la centralità del gruppo di Agata attraverso la luce da lei emanata. 
Nel 1810, con la soppressione degli ordini religiosi, il convento di Lendinara fu chiuso e spogliato delle sue ricchezze dalle truppe francesi di Napoleone. La Sant’Agata entrò nel mercato inglese e fu probabilmente durante ripetuti passaggi che tela venne ridotta nella parte a superiore. Alcune acqueforti, realizzate dal figlio Giandomenico, oggi documentano la struttura ancora integra dell’opera.


Salone delle Feste, Giambattista Tiepolo e quadrature di Gerolamo Mengozzi Colonna, 1696-1770, Palazzo Labia, Venezia

Nel 1746, Tiepolo inizia a lavorare alla decorazione ad affresco di Palazzo Labia a Venezia, con le storie di Marcantonio e Cleopatra, terminate nel 1750 (Tiepolo a Palazzo Labia). 
L’anno seguente, nel 1751, il principe-vescovo di Würzburg, Carl Philipp von Greiffenklau, lo chiama a decorare alcune sale della sua celebre Residenza (Tiepolo a Würzburg).
Nel 1753, Giambattista torna a Venezia e quattro anni più tardi, esegue gli affreschi di Villa Valmarana ai Nani di Vicenza (1757).
Nel 1761, affresca Villa Pisani a Stra, vicino a Venezia, dove dipinge l’Apoteosi della famiglia, un capolavoro della fase matura concluso l’anno dopo. Si tratta dell’ultima opera di Tiepolo eseguita in Italia. 
Nel 1762, infatti, Carlo III di Spagna lo chiama a Madrid e lo nomina pittore di corte. L’artista si stabilisce definitivamente in Spagna dove esegue numerosi lavori per il re, tra cui le sette pale per il Convento di Aranjuez e diverse decorazioni ad affresco del Palazzo Reale di Madrid (Tiepolo pittore di corte a Madrid). 
L’artista muore a Madrid il 27 gennaio del 1770. Sepolto nella Chiesa di San Martín, la tomba dell’artista scomparse con il crollo dell’edificio.

FOTO DI COPERTINA 
Giambattista Tiepolo, Banchetto di Antonio e Cleopatra, 1743, olio su tela, National Gallery of Victoria, Melbourne