Rai Scuola
Francisco Goya, Autoritratto di Goya, 1797-'99, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 1, serie “I Capricci”
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Francisco Goya, Povere bambine!, 1799, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 22, serie “I Capricci”
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Francisco Goya, Perché nasconderli?, 1799, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 30, serie “I Capricci”
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Francisco Goya, E così era suo nonno, 1799, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 39, serie “I Capricci”
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Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri, 1799, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 43, serie “I Capricci”
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Francisco Goya, Uno stregone taglia con cura l'unghia del piede del suo compagno, mentre una creatura minacciosa allarga le ali dietro di loro, 1799, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 51, serie “I Capricci”
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Francisco Goya, Che becco d’oro!, 1799, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 53, serie “I Capricci
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Francisco Goya, Professione devota, 1799, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 70, serie “I Capricci”
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Francisco Goya, La stessa cosa, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 3, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, E sono feroci, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 5, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, Che coraggio, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 7, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, Che cosa si può fare di più?, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 33, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, Questo è peggio, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 37, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, Fuga attraverso le fiamme, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 41, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, Io l’ho visto!, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 44, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, Non serve a niente gridare, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 58, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, Questa è la cosa peggiore!, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 74, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, L’avvoltoio carnivoro, 1810-1820 circa, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 76, serie “I disastri della guerra”
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Francisco Goya, Un moro ferito nell'arena, 1815-1816, acquaforte e acquatinta, foglio n. 8, serie “La tauromachia”
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Francisco Goya, Una folla con armi ferma il toro, 1815-1816, acquaforte e acquatinta, foglio n. 12, serie “La tauromachia”
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Francisco Goya, L'agilità e l'audacia di Juanito Apinani sul ring di Madrid, 1815-1816, acquaforte e acquatinta, foglio n. 20, serie “La tauromachia”
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Francisco Goya, Dimostrazione di coraggio virile della famosa Pajuelera sull'arena di Saragozza, 1815-1816, acquaforte e acquatinta, foglio n. 22, serie “La tauromachia”
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Francisco Goya, Ceballos montato su un altro toro rompe le arene nella piazza di Madrid, 1815-1816, acquaforte e acquatinta, foglio n. 24, serie “La tauromachia”
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Francisco Goya, La terribile morte di Pepe Hillo sul ring di Madrid, 1815-1816, acquaforte e acquatinta, foglio n. 33, serie “La tauromachia”
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Francisco Goya, Il famoso americano, Mariano Ceballos affronta i tori di Bordeaux, 1825, litografia su carta intessuta, serie “I Tori di Bordeaux”
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Goya, il primo incisore moderno

Dall'acquaforte alla litografia

Goya ha rinnovato la pratica incisoria affrancandola dalla mera riproduzione; la sua opera grafica segna il passaggio dalla stampa antica e quella moderna (Enzo di Martino racconta la storia della Grafica d'Arte).

L’artista ha sperimentato tutte le tecniche e in un processo lento e consapevole durato una vita è riuscito ad evocare il lato profondo e terribile della coscienza umana

Avviato alla pittura nel 1763, a Saragozza, Francisco Goya (1746-1828) si trasferiva a Madrid dove in poco tempo coglieva larghi consensi negli ambienti della corte spagnola raggiungendo incarichi pubblici di prestigio (Goya, una biografia pittorica). 

Solo verso i trent’anni, con i primi riconoscimenti importanti, l’artista inizia l’attività incisoria, che oggi comprende quasi trecento opere

Inizialmente, Goya lavora a soggetti sacri influenzato dallo stile di Giambattista Tiepolo, morto da poco proprio nella corte di Madrid (Giambattista Tiepolo). Appartengono a questo periodo anche le venticinque acqueforti tratte da opere del grande Diego Velasquez (Velázquez "pittore dei pittori") che l’artista vede per la prima volta nella collezione dei Borbone. 
Fin da giovane, Goya inizia a testare la tecnica incisoria e per rendere al meglio leggibili le opere del sommo Maestro spagnolo del realismo seicentesco, mischia acquaforte e acquatinta, quest’ultima, da poco diffusa in Spagna (Enzo di Martino presenta le tecniche della Calcografia). 

Goya si dedica all’incisione nei momenti in cui avverte il bisogno di studiare in solitudine, ma dopo il 1793, colpito da una malattia che lo rende completamente sordo, diventa una pratica costante

Tra il 1796 e ’98, durante gli anni di infermità, Goya realizza “I Capricci” (Los Caprichos), una serie di ottanta incisioni eseguite ad acquaforte e acquatinta, con episodici interventi a bulino e puntasecca. L’uso di grandi zone di acquatinta fu una sua originale sperimentazione, utile a far emergere i suggestivi contrasti di luce e ombra dei maestri del realismo che il pittore studiava, da Velazquez, a Caravaggio (Goya e Caravaggio: verità e ribellione) e Rembrandt.
Il titolo “I Capricci”, ripreso dalla cultura figurativa italiana per designare immagini duttili, ironiche e allusive alla fantasia giocosa, è un omaggio ai grandi incisori veneti settecenteschi, in primis Piranesi che Goya conosceva personalmente a Roma (Giambattista Piranesi), ma anche Tiepolo (Scherzi e Capricci: le nere incisioni di Tiepolo), attivo presso la corte di Carlo III fino alla morte, nel 1770. Gli scambi culturali tra Venezia e il prodigioso genio spagnolo furono numerosi: Goya conosceva l’opera di Canaletto, Francesco Guardi e Pietro Longhi, un Settecento lagunare ampiamente studiato anche durante il suo tour nella penisola.

Tuttavia, Goya utilizza il termine “Capriccio” per indicare quello “scarto dalla norma” che la sua opera vuole rappresentare, non uno scherzo, ma la profonda riflessione di un artista che ha vissuto da carnefice e vittima, una situazione di confine tra due importanti epoche 

Con “I Capricci”, infatti, Goya metteva a nudo con immagini lucide, aspre e taglienti, una varietà di vizi, bassezze, aberrazioni e superstizioni diffuse nella Spagna del tempo. Nella serie non si limita alla satira sociale, politica e clericale che già aveva trovato ampio spazio nel Settecento inglese di Hogarth (Le "Storie morali" di William Hogarth), ma l’artista indaga anche temi erotici, filosofici, letterari, giungendo a deridere bruttezza, amori tragici, asinerie, stregonerie, usanze e superstizioni.
In un manoscritto dell’epoca conservato al Prado e ritenuto autografo di Goya, l’artista spiega il suo “Capriccio” numero 43, con queste parole:

La fantasia abbandonata dalla ragione genera mostri impossibili: unita a lei è madre delle arti e origine delle meraviglie” 
Francisco Goya

Si tratta del “Capriccio” più iconico e famoso dell’artista: “Il sonno della ragione genera mostri”. Frutto della fantasia immaginifica e del vissuto esistenziale di Goya, la formula figurativa è abile e diretta, erudita ed intelligibile, pertanto, capace di agire sulla memoria conscia ed inconscia dell’osservatore.
Al centro della composizione, un uomo sprofondato nel sonno con la testa appoggiata sul tavolo è in preda a un incubo: la scritta in spagnolo, “ll sueño de la razón produce monstruos”, spiega come la mente del dormiente produce creature infernali. Lo sovrastano, infatti, bestie mostruose e dai connotati ostili secondo l'abbondante tradizione iconografica: sinistri uccelli notturni, inquietanti volti ghignanti, diabolici felini o forse una lince che, in posizione di sfinge, fissa l'osservatore.

La prima pubblicazione dei “Capricci” risale al 1799; nelle lastre di rame, oggi conservate alla “Biblioteca Nazionale” di Madrid, il segno andò presto ad affievolirsi e nel tempo a mostrarne l’usura

Attraverso la “Calcografia Nazionale della Reale Accademia di Madrid”, l’edizione successiva de “I Capricci” avverrà oltre mezzo secolo dopo, nel 1855. Il nome e la fama di Goya iniziano a consolidarsi, soprattutto in Francia dove Édouard Manet riconosce la grandezza del vecchio pittore spagnolo morto a Bordeaux. Le edizioni successive si susseguono a ritmi sempre più elevati (1868, 1879, dal 1881, 1886), fino a giungere alla dodicesima edizione nel 1937.

Messi in vendita da Goya il 6 febbraio del 1799, in un negozio di profumi e liquori, “I Capricci” si acquistavano al prezzo di trecentoventi reali

La pubblicità della serie pubblicata nel “Diario di Madrid” parlava di “soggetti bizzarri” premettendo, contro eventuali critiche, che “errori e vizi umani possono essere anche argomento di pittura”. Goya aggiunse perfino che i soggetti rappresentati erano di “carattere immaginario”, dal momento che l’artista “non ha seguito modelli, né ha voluto imitare la natura”. 
Purtroppo, le precauzioni di Goya non lo salvano dalle ire dei potenti. Dopo una ventina di giorni, arrivava la “scomunica” del clero che intimava il ritiro e la censura della serie considerata troppo violenta e veritiera nei confronti di usi e costumi della Spagna. La vendita, dunque, fu modesta e l’artista fu costretto ad immagazzinare sia gli album residui, sia i rami originali. 
Quattro anni dopo, le stampe e i rami dei “Capricci” furono donati al re che, in cambio, concesse al figlio del “pittore di corte”, Francisco Javier Goya anche lui pittore, una borsa di dodicimila reali all’anno.

Nessun artista prima di Goya ha saputo raccontare le violenze della guerra a mente fredda e lucida come lui stesso seppe fare. Goya volle presentare questa realtà per colpire gli occhi e l’anima

Realizzata tra il 1808 e il 1820, ma pubblicata postuma nel 1863, la serie de “I disastri della guerra” affianca certi capolavori moderni della maturità, quadri di soggetto terrificante, tra cui le “Pitture nere” con cui coprì le pareti della sua stessa casa. Composta da ottantadue tavole, “I disastri della guerra” fu un’opera colossale, dove l’artista denunciava le violenze e gli spietati massacri su civili, frutto della prepotenza e malvagità delle classi dominante. Eseguita durante e dopo la guerra franco-spagnola di inizio Ottocento, che vide la conquista della Spagna da parte di Napoleone e poi il ritorno dei Borbone, questa serie restituisce lo sdegno di un “moderno inviato” che aveva il cuore pieno di rabbia e dolore per tanti orrori.
Infatti, Goya si trovava a Madrid nel maggio del 1808, quando le truppe francesi entrarono nella capitale e la occuparono con violenza e distruzione. Tre mesi dopo, nella Saragozza di Goya, il generale Palafox che guidava una tenace resistenza ai francesi invitava il celebre “pittore di corte” a ritornare nella sua terra natale per vedere di persona quanto stava accadendo. 
Nel più oscuro silenzio interiore, dopo i sessant’anni, Goya percorse le strade di Madrid e Saragozza, incontrò la gente ed entrò nel vivo di un conflitto che, per la prima volta di guerriglia come fu la guerra franco-ispanica, lacerava la popolazione civile.

Saragozza visse anche la tragica esperienza di un’epidemia di tifo generata dall’assedio

Tutte le stampe Goya pongono particolare attenzione alla didascalia che spesso, come nei “Disastri”, non descrive ma sottolinea con estrema laconicità quanto appare nel disegno. Goya assistette a stragi, scontri e violenze: i fogli numero 44 e 45 della serie recano la didascalia “Yo lo vi” e “Y esto tambien”: “L’ho visto io” e “E anche questo”. Goya denuncia la guerra facendo appello al fatto che lui stesso è stato testimone diretto di fatti concreti, visti o anche raccontati da quanti conoscevano il pittore.

Nei “Disastri” si possono individuare tre grandi temi composti in successione

Dal foglio numero 1 al foglio 47, Goya mostra le terribili violenze legate alla guerra, le esecuzioni sommarie, le crudeli torture, le mutilazioni e gli stupri commessi sui civili. Dai fogli numero 48 a 64, la carestia di Madrid, la morte e la devastazione per fame e miseria. Goya, tra il popolo, descrive con pietà profonda e commozione lacerante la disperazione e l’agonia di vite umane.
L’ultima parte della serie, dal foglio 65 al numero 82, Goya affronta il ritorno al potere delle vecchie strutture clericali e aristocratiche di Ferdinando VII con immagini enigmatiche e simboliche non sempre chiare. Goya accusa i vecchi regnanti e gli uomini di chiesa che, dopo la Restaurazione, tornavano al potere riprendendo cinicamente la strada dell’ingiustizia. Singolari creature mostruose, ibridi tra uomini e bestie, uccelli rapaci, asini e felini simboleggiano l’alternarsi di sovrani più o meno benevoli, l’illusione dell’arrivo di idee rivoluzionarie e democratiche francesi rivelatesi poi una colossale finzione e infine, il ritorno autoritario e vendicativo della Restaurazione.

È noto l’interesse per il mondo della corrida che accompagnò Goya per tutta la vita, fin da giovane quando, come lui stesso sosteneva, affrontava i tori con la spada, senza provare alcuna paura

Tra il 1815 e il ‘16, Goya realizza altre quarantaquattro acqueforti dedicate alla “Tauromachia”, il mondo delle corride. Solo la serie de “I Capricci” e “La tauromachia” conobbero un’edizione contemporanea; tuttavia, entrambe furono una perdita economica, tale da non recuperare né le spese di edizione, né l’enorme mole di lavoro dell’artista. 
Dalla “Tauromachia”, l’unica serie incisa da Goya di argomento leggero, l’artista si attendeva quel successo commerciale che “I Capricci” non gli avevano dato. 

Ma ancora una volta, il suo genio pittorico non raggiunge il favore del pubblico. La serie rimane invenduta. Troppo moderno! 

Aureliano de Beruete (1845-1912), pittore e critico d’arte spagnolo, esperto dell’opera dell’artista, sosteneva che i tori di Goya apparivano ai contemporanei delle caricature. Nessuno, infatti, aveva mai disegnato questi possenti animali in certe posizioni e movimenti; eppure, la mente e gli occhi straordinari di Goya gli avevano permesso di cogliere ciò che solo più tardi la fotografia avrebbe visto. 
Nel 1816, nel “Diario” e nella “Gazeta de Madrid” apparvero gli annunci di vendita della “Tauromachia”, presso lo stampatore di Calle Mayor: la serie completa era offerta a trecento reali e i fogli sciolti, a dieci.
Le lastre e stampe della “Tauromachia” spariscono per un po’ di anni. Secondo lo storico e critico d'arte francese Paul Lefort (1829-1904), le matrici restarono proprietà del figlio di Goya, Javier. Negli anni del nascente Impressionismo, erano presenti nel mercato parigino stampe della “Tauromachia” acquistate a pochi spiccioli da mercanti ed artisti amatori, come lo stesso Manet. Nel 1876, le lastre risultano a Parigi di proprietà dell’editore Eugène Loizelet, insieme a prove di stampa e disegni dell’artista. Probabilmente, quest’ultimo le aveva acquistate in blocco dagli eredi di Javier.
Dopo l’edizione del 1876, le lastre scompaiono nuovamente per ricomparire nel 1905, a Parigi, presso un libraio. I rami vengono offerti allo Stato, che ne declina l’acquisto e finalmente nel 1920, sono acquistate dall’artista Francisco Esteve Botey, che le dona al “Circulo de Bellas Artes”; da allora, sono depositate presso la Calcografia francese.
L’ultima grande serie incisa furono le ventidue tavole dei “Proverbi” (Los Disparates), note anche come “Le Follie” e i “Sogni”, realizzate tra il 1815 e il ’24, sempre in acquaforte con aggiunte di acquatinta e pubblicate postume. 
A conclusione della sua attività artistica, tra il 1824 e il ‘28, trasferito in Francia a Bordeaux, Goya sperimenta la neonata litografia (Enzo Di Martino presenta la tecnica della Litografia) dimostrando fino alla fine uno spirito indomito e sempre pronto all’innovazione. Con la nuova tecnica, molto più duttile e dalla resa pittorica, il vecchio artista esegue altre ventidue incisioni per la serie, “I Tori di Bordeaux”.

APPROFONDIMENTO

Rosanna Cioffi. Francisco Goya. La ragione, l'arte e la storia

FOTO DI COPERTINA
Francisco Goya, dettaglio, Autoritratto di Goya, 1799, acquaforte e acquatinta su carta, foglio n. 1, serie “I Capricci”