Rai Scuola
Francisco Goya, Annibale vincitore che rimira l'Italia dalle Alpi, 1771, olio su tela, 88,3x133cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Il parasole, 1777, olio su tela, scena per arazzo, 104×152cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, L’aquilone, 1779, olio su tela, scena per arazzo, 269x285cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Il gioco della mosca cieca, 1788-‘89, olio su tela, scena per arazzo, 269x350cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Ragazzi che giocano alla cavallina, 1780, olio su tela, 29x 41cm., Museum of Fine Arts, Valencia
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Francisco Goya, Due ragazzi con un mastino gigante, 1786, olio su tela, scena per arazzo, 112x145cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Il prato di San Isidro, 1788, olio su tela, scena per arazzo, 41,9x90,8cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Il fantoccio, 1791-‘92, olio su tela, scena per arazzo, 267x160 cm., museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Autoritratto al cavalletto, 1785, olio su tela 40x27cm., Accademia Reale di Belle Arti di San Fernando, Madrid
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Francisco Goya, María Josefa Pimentel, duchessa di Osuna, 1785, olio su tela, 104x80cm., Collezione privata, Madrid
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Francisco Goya, Ritratto dei duchi di Osuna con i figli, 1788, olio su tela, 225x174 cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Ritratto della duchessa de Alba, 1795, olio su tela, 194x130 cm., Collezione de Alba, Madrid
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Francisco Goya, La Maja desnuda, 1790-1800, olio su tela, 97x190cm., Museo del Prado Madrid
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Francisco Goya, La Maja vestida, 1800-‘08, olio su tela, 95×190cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Il sonno della ragione genera mostri, 1797, acquaforte e acquatinta, foglio n. 43, della serie “I Capricci” pubblicati nel 1799
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Francisco Goya, Volo di streghe, 1797-’98, olio su tela, 43,5x31,5cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, La famiglia di Carlo IV, 1800-’01, olio su tela, 280x336cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Cannibali che contemplano resti umani, 1800-’05, olio su tela, 31x45cm., Musée des Beaux-Arts, Besançon
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Francisco Goya, Una processione di flagellanti, 1812-‘19, olio su tela, 73x46cm., Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
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Francisco Goya, Il manicomio, 1812–‘19, olio su tavola, 45×72cm., Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, Madrid
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Francisco Goya, La fucilazione del 3 maggio 1808, 1814, olio su tela, 266x347 cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Autoritratto, 1815, olio su tela, 45,8x35,6cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Autoritratto con il dottor Arrieta, 1820, olio su tela, 115x77cm., Minneapolis Institute of Arts, Minneapolis
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Francisco Goya, Il Cane interrato nella sabbia, 1820-‘21, Quinta del sordo, olio su muro trasportato su tela, 134x80cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Pellegrinaggio a San Isidro, 1819-‘23, Quinta del sordo, olio su muro trasportato su tela, 140x438cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Saturno che divora i suoi figli, 1819-’23, Quinta del sordo, olio su muro trasportato su tela, 143,5x81,4 cm., Museo del Prado, Madrid
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Francisco Goya, Il sabba delle streghe, 1820-’23, olio su muro trasportato su tela, 140×438cm., Museo del Prado, Madrid
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Goya, una biografia pittorica

Dall'età di Lumi all'inquietudine romantica

Lo spagnolo Francisco Goya è stato l’artista più radicale e rivoluzionario attivo tra Sette e Ottocento 

Iniziò a farsi conoscere nella corte illuminata dei Borbone; negli anni vide prosperare la crudele Inquisizione spagnola; con l’invasione napoleonica si schierò affianco del popolo oppresso e martoriato, finché a tarda età decise di lasciare la patria e morire in Francia. 

Goya sopravvive a tutto ciò facendo appello alla ragione 

Questi fatti storici e sociali si intrecciano alla sua opera assieme alle molte vicissitudini personali che l’artista interpreta e restituisce nel mezzo di rivoluzioni culturali, guerre e perdite di affetti. 
Fin da giovane, Goya adotta lo spirito malizioso, spensierato e ironico del Rococò settecentesco per rivelare la stupidità umana nascosta dietro le apparenze delle istituzioni spagnole. La svolta arriva a fine secolo: con la maturità e la malattia che lo rende sordo, l’artista inizia a sondare l’anima e la psicologia dell’uomo. 

E nel totale silenzio della sua esistenza, guardando senza indugio ad ingiustizie e tirannie, Goya elabora immagini sconcertanti frutto di una sensibilità già spiccatamente romantica

Francisco José de Goya y Lucientes (1746–1828) nasce a Fuendetodos, un piccolo villaggio a sud di Saragozza; quarto di sei fratelli, il padre era un maestro doratore della piccola borghesia locale. 
Dal 1759, trasferito con la famiglia a Saragozza, Goya frequenta un istituto religioso ma, date le ottime attitudini al disegno, il padre lo manda a bottega presso un pittore locale formato sui grandi modelli della tradizione Barocca italiana. Qui, il giovane conosce il pittore Francisco Bayeu (1734–1795), futuro cognato che, a diciott’anni, lo introdurrà nel mondo dell’arte. Infatti, Goya lo segue come apprendista a Madrid, dove Bayeu era chiamato dal palladino del Neoclassicismo, Anton Raphael Mengs (Mengs. La scoperta del Neoclassico), all’epoca “pittore di corte” per Carlo III di Spagna. 

A Madrid, Goya amplia i propri orizzonti figurativi e comincia a formare un orientamento di gusto personale

La città era allora ricca di fermenti artistici promossi dall’illuminato regno di Carlo Borbone che per la corte ambiva al meglio: infatti, oltre al grande pittore neoclassico, aveva chiamato nel cantiere di “Palacio Real” anche un grande del Rococò internazionale, l’ormai anziano Giambattista Tiepolo (Giambattista Tiepolo). 
Come consuetudine per gli artisti dell’epoca, Goya partecipa al concorso indetto dall’Accademia Reale per una borsa di studio ma, ingiustamente, viene sorpassato dal fratello di Bayeu. 

E così, a ventiquattro anni, nel 1770, intraprende a proprie spese il Grand Tour in Italia dove soggiorna per almeno quattordici mesi

Approdato nella penisola vive a Roma, visita Venezia, Siena e Napoli scoprendo non solo i grandi modelli e le scuole pittoriche del Bel Paese, ma avvicinando anche i molti artisti stranieri presenti nella penisola, tra cui inglesi, tedeschi, fiamminghi e altri. Le grandi processioni religiose, le feste carnevalesche, la varietà di tipi e costumi, oltre ai monumenti del passato, offrono al giovane artista che capta tutto con gusto eclettico e virtuosismo settecentesco, sorgenti inesauribili di ispirazione. 
A fine Settecento, Roma era un grande centro artistico pulsante di cultura, arte e fastosità; Goya si univa alla nutrita colonia di spagnoli che soggiornavano nell’Urbe. In questa cerchia, conosce personalmente Piranesi (Giovanni Battista Piranesi 1720-1778), l’incisore veneto al culmine della sua fama che lascerà un'impronta profonda nella fantasia del giovane aragonese. Di sicuro, a Roma studiava la pittura magica e visionaria del seicentesco Salvator Rosa, nonché del suo contemporaneo Johann Heinrich Füssli, presenze oscure nel “secolo dei Lumi” che già anticipavano il Romanticismo ottocentesco. 

Queste suggestioni eserciteranno in Goya un'influenza fortissima nelle soluzioni estreme della maturità 

A Parma, nel 1771, Goya partecipava ad un concorso di pittura presso l’Accademia di Belle Arti, ma ancora una volta arriva secondo a un pittore oggi sconosciuto ai più, con un quadro di storia: “Annibale vincitore che rimira per la prima volta dalle Alpi l'Italia” (1771). Dipinta a Roma, è questa la prima tela accreditata all’artista dove si evince la perfezione tecnica, l’ordine compositivo e il trattamento luministico di un pennello sicuro e fermo nel modellare figure con colori e luce. 

Perseguitato dalla polizia per aver rapito una ragazza di Trastevere, rinchiusa dai parenti in un convento, con l'aiuto dell'ambasciatore spagnolo Goya torna a Saragozza

Qui, forte del credito acquisito con il viaggio in Italia, decora ad affresco la volta della basilica di “Nostra Signora del Pilar” (1772), una commissione a cui ne seguirono altre altrettanto prestigiose e con le quali, riesce a consolidare la propria notorietà. 
Nel 1773, Goya sposa Josefa, sorella di Francisco Bayeu, una donna con la quale non avrà una vera relazione affettiva e a parte gli otto figli, dei quali ne sopravvive solo uno, la sua vita rimarrà costellata di numerose amanti.
L’anno seguente sarà cruciale per il pittore: nel 1774, grazie all'interessamento del cognato Bayeu, Goya è chiamato a Madrid dallo stesso Mengs, con l'incarico di eseguire i cartoni per la “Fabbrica Reale degli Arazzi di Santa Barbara”. Tra il 1774 e il ’92, la prestigiosa manifattura madrilena verrà rivoluzionata da Goya con iconografie moderne che sostituiranno quelle di tradizione fiamminga. 
L’incremento delle attività di svago nella corte di Carlo III, utili a coltivare lo spirito dei Lumi, venne sollecitata con questi arazzi espressamente dedicati a balli, giochi, osterie, pellegrinaggi e vita campestre. 
In ben sessantatré cartoni spicca l’intenso realismo di scene complesse, frutto dell’osservazione pungente dell’artista sui portamenti dei personaggi
In questi anni, incoraggiato da Mengs, Goya può studiare la ricca collezione reale spagnola delle opere di Diego Velázquez (Velázquez "pittore dei pittori), il grande pittore seicentesco di Filippo IV. All’epoca, per apprezzare l’opera del maestro era necessario poter entrare a corte, come in passato era avvenuto per incisori come Dürer che, dopo il viaggio in Italia, diffuse l’antichità classica nel nord Europa. Attraverso la sensibilità del giovane Goya, Mengs era riuscito a far conoscere un maestro indiscusso del realismo, un pittore rimasto nascosto fino alla pubblicazione, nel 1778 delle prime acqueforti realizzate dallo spagnolo. 
In pochi anni, Goya matura un’indiscussa capacità compositiva e sviluppa una tecnica efficace nel cogliere in colpi di luce, l’aria interposta fra le figure (Il parasole) e l’atmosfera di ampie scene campestri (Il prato di San Isidro; Il gioco della mosca cieca; L’aquilone; Il fantoccio) tanto che, i fabbricanti di arazzi protestano con il Re perché i modelli dell’artista sono troppo virtuosi. 

Il successo è stupefacente e il talento di Goya tocca il gusto di tutti: aristocratici, clero e soprattutto borghesia illuminata che Goya frequenta e ritrae in penetranti ritratti psicologici

In questo contesto nasce la figura dei “Majos”, giovanotti veri, popolani giocosi ritratti per prima volta con “Il Parasole”, o “Ragazzi che giocano alla cavallina”, o ancora “Due ragazzi con un mastino gigante”. 

Grazie alla notorietà acquisita con gli arazzi reali, nel 1780 Goya venne accolto nella “Real Academia de San Fernando” 

Seguirono altri importanti riconoscimenti ufficiali, primo tra tutti, nel 1786, la nomina a “Pintor del Rey” da parte del nuovo Re Carlo IV e nel 1795, morto il cognato Bayeu, la direzione dell'Accademia Reale di Madrid.
Con queste cariche l’artista coronava le sue ambizioni, partecipava alla vita mondana, ai ricevimenti e alle varie riunioni galanti da immortalare per la corte. 
Negli anni del successo l’artista produsse il suo straordinario “Autoritratto al cavalletto”; famoso, benestante e sicuro di sé con i pennelli in mano, Goya si staglia a figura intera in un suggestivo controluce luminoso che accresce il fascino quasi seduttivo dell’effigiato.
Tra i numerosi ritratti di nobili della corte madrilena, spicca per grande penetrazione psicologica quello dei “La famiglia dei Duchi di Osuna”, suoi principali mecenati e sostenitori. Facoltosi, colti e appassionati di arte e scienza, il conte, ex militare e diplomatico, possedeva una delle più grandi biblioteche private di Spagna che avrebbe voluto donare alla corona, ma il governo lo impedì, poiché conteneva libri proibiti dall'Inquisizione. Anche la consorte “Duchessa di Osuna” splendidamente ritratta dal pittore, fu un personaggio pubblico dedito al problema delle carceri femminili, all’educazione di giovani e alle prime campagne per la vaccinazione. Per la loro stupenda villa, luogo che ospitava uno dei salotti culturali e mondani dell’epoca, Goya decorò le stanze con un ciclo di quattro cartoni per arazzi dedicati alle “Stagioni” e su richiesta della Duchessa, realizzò “Volo di streghe”, un’opera emblematica e simbolica dell’oscurantismo clericale spagnolo di fine secolo.

Infatti, il nuovo re Carlo IV che assecondava l’Inquisizione era ben lontano dallo stabilire con Goya quell’affiatamento raggiunto dal pittore con Carlo III

Con la Rivoluzione francese, gli amici e i protettori di Goya, perlopiù illuministi, venivano privati del potere e allontanati del nuovo monarca, mentre il pittore aragonese manteneva la sua carica anche se privo di fiducia nel re. 
Il disincanto dell’artista verso la decadenza di un Ancien Régime rappresentato da un monarca inetto, si svela in varie opere tra cui, il “Ritratto della famiglia reale di Carlo IV”. Goya scruta i vari personaggi in posa e per esaltare la tensione psicologica, con occhio spietato indaga oltre l'apparente decoro dei reali e svela un retroscena di grande ottusità e miseria morale. Nonostante le onorificenze e gli abiti ricercati, Goya mette a nudo Carlo IV, ritratto con un volto ordinario, di persona sciocca ed insignificante mentre, la moglie Maria Luisa di Borbone, posta al centro del gruppo, ha un volto sgradevole, quasi scimmiesco. Tra la coppia, il piccolo Francesco che si diceva figlio di Manuel Godoy, onnipotente primo ministro di Carlo IV e gli infanti Carlo e Maria Giuseppina con le sembianze di bambini precocemente invecchiati. 
Geniale, il duplice ruolo che Goya assegna alla luce, vero elemento unificante del dipinto: da un lato sottolinea il lusso degli abiti e il brillio dei gioielli, dall’altro lato, fa risaltare la bruttezza e la presunzione degli illustri effigiati.

Molto audace anche la tecnica pittorica qui ripresa espressamente da Velázquez: Goya concepisce un raffinato dialogo cromatico tra bruni, rossi, bianchi e gialli oro, accostati in una stesura a grandi macchie 

Per questo ritratto dei reali, Goya aveva negli occhi “Las Meninas” dal quale riprende la presenza dei quadri alle pareti, la centralità della figura femminile e soprattutto, una sorta di autoritratto sul margine sinistro della tela dove, nella penombra, appare un uomo che dipinge. Al complesso gioco di specchi e prospettive che strutturava l'opera di Velázquez, Goya antepone una parete frontale che comprime gli spazi, sebbene paia che l’artista abbia fatto ricorso allo specchio ponendolo dinanzi al gruppo e guardandovi dentro.
A fine Settecento, Goya intrecciava a corte una relazione sentimentale clandestina con María Teresa Cayetana de Silva, trentatreenne duchessa d'Alba, una bellissima e affascinante ballerina, una donna ricca e seconda per prestigio solo alla regina. Travolto dal fascino seduttivo della donna, l’artista trascorse licenziose avventure infuocate dall'amore e dalla passione malgrado la differenza di età. Più volte effigiata, regalmente altezzosa, la Duchessa appare in due ritratti: in uno, veste a lutto di nero e nell’altro, di bianco mentre, in entrambi, la donna indica sulla sabbia, a poca distanza dai piedi, il nome di Goya (Ritratto della duchessa de Alba). Straordinari anche i ritratti nei panni di una Venere tizianesca: “La Maja vestida” e la “Maja Desnuda”, quest’ultima ripresa da Manet nella sua “Olympia” (1863). 
Oppresso dalla situazione della corte, per un certo periodo Goya decise di soggiornare in Andalusia a Siviglia. Qui, tra il 1792 e il ’93, venne colto da una feroce malattia che lo costrinse a riparare a Cadice, ospite dell'amico Sebastián Martinez.
Non è nota la diagnosi, ma dai documenti d’epoca pare si trattasse di sifilide o di un'intossicazione da piombo contenuto nei pigmenti di colore. Le conseguenze di quest'infermità furono devastanti: costretto a letto da una brutale paralisi, il pittore iniziò a soffrire di emicranie, disturbi visivi e vertigini sintomo di un'irrimediabile sordità dalla quale non sarebbe guarito per il resto della vita.

A fine Settecento la sua arte subì un repentino mutamento stilistico e tematico

Abbandonati i toni gioiosi e distesi delle pitture precedenti, Goya approdò a uno stile onirico e visionario, facendosi interprete della parte “nera”, dannata e dolorosa dell'essere umano. 
L'opera che più tenne impegnato Goya in questi anni fu la monumentale raccolta di incisioni titolate “I Capricci”, ottanta fogli pubblicati nel 1799 dove, con ironia caustica e tagliente, il pittore ritraeva gli orrori, i vizi umani e le stravaganze follie della società spagnola messa in ridicolo nelle sue bassezze.
Malgrado Goya avesse annunciato pubblicamente che ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti fosse puramente casuale, la raccolta incontrò l'ostilità dell'Accademia e del clero che, per i contenuti ritenuti blasfemi, la ritirarono dalla circolazione. Tra “I Capricci” più famosi, “Il sonno della ragione genera mostri”, un’immagine oggi iconica.

In una serie di piccole tele poi, Goya tratta alcuni aspetti della vita spagnola che i liberali come lui desideravano riformare, osteggiati dalla politica assolutista di Ferdinando VII

In numerosi quadri di piccolo formato inizia a raffigurare eventi agghiaccianti, visioni macabre come in “Cannibali che contemplano resti umani”, simboli di un popolo schiacciato dalla corte e dall’Inquisizione. Molte le folle allucinate, frenetiche e in preda ad euforici sbalordimenti, come ne “La sepoltura della sardina”, “Il manicomio” e “La corrida”, “Il tribunale dell'Inquisizione” e “La processione dei flagellanti”.   
Ispirato dalle architetture claustrofobiche di Piranesi, “Il manicomio” mostra un ospedale psichiatrico coi suoi ospiti, folli in svariate pose denudati come povere vittime emarginate da una società incapace di accoglierli. La sola fonte di luce del dipinto è una finestra collocata in alto della parete centrale, una soluzione che permette a Goya di adombrare la parte delle figure sottostanti risolte in cumolo di colori terrosi addossati al muro, ed esaltare quelle in luce tutte impegnate in comportamenti bizzarri.
Ne “La processione dei flagellanti” spicca tutta la crudeltà che caratterizza questa serie impregnata di sangue che scorre sulla veste bianca della figura centrale. 

Nel 1808, l'intera Spagna venne colta da un grande stravolgimento con la salita al trono di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone

Il popolo spagnolo, malgrado non fosse nuovo a monarchi stranieri, si ribellò e proclamò una rivolta popolare antinapoleonica culminata nei sanguinosi fatti del 2 e del 3 maggio 1808. La Guerra d'indipendenza si concluse nel 1814 con il ritorno sul trono iberico di Ferdinando VII, ma le conseguenze del conflitto, furono catastrofiche. Le truppe napoleoniche inflissero brutali violenze sulla popolazione civile, massacri, stupri e torture che Goya denunciava nel ciclo di ottantatré acqueforti: “I disastri della guerra”. 
Dopo la restaurazione della monarchia legittima dei Borbone, nel 1814, nella prospettiva di celebrare le gloriose azioni del popolo madrileno contro le truppe napoleoniche, Goya dipinse “Il 2 maggio 1808” e “Le fucilazioni del 3 maggio 1808”. 

Nei quadri viene mostrato lo sterminio di massa architettato dall’esercito francese per reprimere le proteste del popolo

La fucilazione”, soggetto sicuramente poco gradito da Ferdinando VII fu nascosta per molti anni ed esposta per la prima volta al pubblico solo nel 1872, anno in cui riapparve nell’inventario del Prado.
Ancora una volta, Goya va al di là della rappresentazione del macabro evento e compone un’immagine di dimensione universale, un simbolo di rivolta ripreso più tardi sia da Manet, sia da Picasso. Goya esalta il dramma dell'evento nella netta opposizione visiva tra vittime e carnefici: dei primi vediamo lo sguardo del terrore, mentre dei soldati nell'atto di premere il grilletto, composti in riga come un muro scuro, vediamo solo la schiena. Fulcro della composizione la prossima vittima, una figura in luce con la camicia bianca; a terrà, un compagno giace in una pozza di sangue illuminato anche lui da una grande lanterna. 

Goya rappresenta un martirio laico, senza speranza, quando tutto è fallito: le grandi idee dell'illuminismo e la fede cattolica rappresentata dai campanili sullo sfondo 

Intorno al 1819, i privilegi di Goya decadono. Allontanato dalla corte in seguito al feroce assolutismo di Ferdinando VII, l’artista acquistava una casa di campagna alla periferia di Madrid, assieme alla nuova compagna Leocadia Zorrilla. Il posto, lungo le rive del Manzanarre, era denso di emozionanti ricordi di gioventù, momenti dell’iniziale carriera del pittore impiegato proprio lì, nella “Manifattura Reale di Santa Barbara”. 
Ma nella nuova abitazione, battezzata la “Quinta del Sordo”, tornano ossessioni e turbamenti. In preda al delirio, circondato dal totale silenzio, Goya dipinge ad olio su muro le pareti dell’interra casa: nascono le “Pinturas negras”, ossia le “Pitture nere”, immagini spaventose che già a fine Ottocento saranno riportate su tela e oggi conservate al Prado. 
I quegli anni, Goya accusava i segni di una morte molto prossima, ma riuscì a sopravvivere grazie alle attente cure di un dottore illuminato a cui l’artista dedicò l’opera, “Goya assistito dal dottor Arrieta”, suo ultimo autoritratto da agonizzante e privo di forze. 
La visione onirica, già esplorata da Goya nei “Capricci” e rafforzata nel tempo da un’indagine profonda sul lato oscuro della ragione, sfociava irrimediabilmente nel culmine emotivo delle “Pitture nere”, quattordici dipinti ad olio su intonaco, realizzati fra il 1820 e il ‘21, mostrano scene allegoriche legate da un filo rosso tematico che affonda le radici sul trionfo del male ai danni della tragica condizione umana. Le atmosfere tenebrose e macabre rivelano un disagio inconscio sublimato in tinte fosche e fangose: bianchi sporchi amalgamati a neri spessi e condensati come catrame, rossi e gialli violenti compongono scene con personaggi biblici e mitologici, credenze popolari e superstizioni occulte.
Tra questi, “Il pellegrinaggio a San Isidro”, “Il sabba delle streghe”, “Saturno divora i suoi figli” e “Cane interrato nella sabbia”.
Nel “Sabba delle streghe” Goya raffigura Satana, una sagoma caprina con barbetta e corna, mentre elevandosi su un ammasso roccioso apostrofa una folla di donne, probabilmente una congrega di streghe accovacciate. La furente critica di Goya si rivolge alla disumanizzazione della folla, che qui perde i propri tratti individuali per miscelarsi in un grappolo grottesco di visi deformi e terrorizzati. 

Il pennello dell’artista esplora le tenebre e gli abissi dell’anima denunciando l’amore e la profonda conoscenza di Velázquez, Jusepe de Ribera, Caravaggio e Rembrandt

Nelle “Pitture nere”, Goya dipingeva partendo da un fondo nero di catrame, per poi aggiungervi violente pennellate di grigi, blu e marroni: non di rado, il pittore scelse di lasciare esposta la trama sottostante il supporto, un’altra audacia moderna che fa di lui un pioniere dell’Ottocento. 
Il ciclo si conclude con il “Cane interrato nella sabbia”, una composizione estremamente semplice, dove Goya sceglie di eliminare il superfluo e di avventurarsi verso l’astrazione pura. L’immagine non fa che rappresentare una porzione esigua del visibile perché con un mare di giallo, l’artista intende rappresenta una duna desertica e sabbiosa, o anche la corrente fangosa di un fiume. Il cane che sbuca dalla sabbia ha il naso umido e nerissimo, le orecchie pelose, le pupille terrorizzate e uno sguardo sgomento e dolcissimo: infatti, non vuole morire, ma è terribilmente solo.

Era opinione di Goya che la Natura rimaneva totalmente insensibile al destino delle sue creature, guidata da un disegno per nulla benevolo bensì distruttivo

Appena conclusa “La Quinta del sordo”, suo ultimo ciclo, Goya approfittava dell'amnistia concessa da Ferdinando VII per allontanarsi dal paese con il pretesto di fare alcune cure. Andò a Bordeaux, in Francia, sede di un nutrito gruppo di emigrati spagnoli fuggiti dalla patria per sottrarsi alla persecuzione monarchica. 
Dopo un soggiorno di tre mesi a Parigi, dove visitò il Louvre e partecipò a un Salon con le opere di Ingres e Delacroix, l’artista fece nuovamente ritorno a Bordeaux e presso una casa sul Cours de Tourny, concluse i propri anni sperimentando nuove tecniche litografiche. 
Il 2 aprile del 1828 Goya fu colto da una paralisi. Morì pochi giorni dopo, alla veneranda età di ottantadue anni.

FOTO DI COPERTINA
Francisco Goya, Autoritratto al cavalletto, 1785, olio su tela, 40x27cm., Accademia Reale di Belle Arti di San Fernando, Madrid