Tribunalizzazione

Le parole del nuovo millennio

È stato un filosofo tedesco, Odo Marquard, che ha inventato alla fine degli anni Sessanta un’espressione molto interessante, la tribunalizzazione della storia, cioè questa idea che non riguarda semplicemente l’uso pubblico della storia (da che mondo è mondo la storia è sempre stata oggetto di un uso pubblico, anzi è nata come uno strumento di corte nell’uso pubblico) ma riguardava qualcosa di più, cioè l’idea che la conoscenza storica dovesse avere come scopo quella di dare un giudizio, distribuire torti e ragioni. Ed era una cosa che avevamo visto accadere già alla fine della prima guerra mondiale, quando si era pensato, rompendo una tradizione del diritto internazionale, di portare alla sbarra il Kaiser per i disastri della prima guerra mondiale, immaginando che potesse esserci un tribunale in cui venivano giudicati i fatti storici. Lo si vedrà in maniera ancora più forte alla fine della seconda guerra mondiale quando a Norimberga un tribunale verrà davvero convocato per giudicare i crimini ma non di responsabili in senso diretto e proprio, che erano migliaia e migliaia, ma per cercare di dare un giudizio che fosse al tempo stesso tribunalizio e storico su quella che era stata la grande catastrofe della seconda guerra mondiale, e le immani responsabilità del Fascismo e del Nazismo nel distruggere l’Europa. Odo Marquard si era convinto che tutto questo avesse qualcosa a che fare con la fine della teodicea e nella metà del Settecento questa disciplina teologica, quella che cercava di spiegare come si fa a dire che Dio è buono anche se c’è tanto male nel mondo, era stata abbandonata dopo il terremoto, il maremoto e l’incendio di Lisbona (specie nella cultura illuminista si vedeva con molta chiarezza che non era quella la cosa che poteva servire) ma, diceva Odo Marquard, che non è un caso che proprio a valle di quella svolta sia nata la Storia in senso critico, come noi la intendiamo oggi, cioè una storia di cui non è più protagonista Dio che deve rendere conto delle sue azioni e che deve spiegare come mai essendo buono permette tanto male, ma al cui centro c’è l’uomo, come può l’uomo essere ciò che pretende di essere, se capace di così tanto male. Questo tema della tribunalizzazione della storia che lì nasceva rappresenta in una certa misura una componente ineludibile, un rischio, una risorsa della conoscenza storica alla quale si farà ricorso in tutto il secolo XX, sia per i grandi processi a valle delle grandi tragedie della prima e della seconda guerra mondiale, ma poi ancora dopo, con l’idea dei tribunali internazionali, e poi con l’idea addirittura delle leggi, le leggi sulla memoria e le leggi sul linguaggio, le leggi che impongono di ricordare come se la conoscenza non fosse sufficiente, le leggi che impongono una definizione perché temono che se non lo si impone per legge, atteggiamenti come quelli negazionisti (il negazionismo della schiavitù, il negazionismo della Shoah, in modo particolare) possono costituire un enorme danno. Questa tendenza a dare alla storia dei doveri per legge rappresenta non solo un problema di carattere critico, rappresenta una componente della nostra società di cui alla fine la cosa più importante è essere avvertiti, non è la cosa più importante prendere posizione giudicando in modo semplicistico una cosa negativa o positiva.