Il digitale: che cosa potrebbe fare e non fa per l'educazione linguistica
Il video della diretta del 14 novembre 2023
14 Nov 2023 > 14 Nov 2023
Conferenze Lincee per la scuola: incontro di Italiano del 14 novembre 2023 dal titolo Il digitale: che cosa potrebbe fare e non fa per l’educazione linguistica, relatore Mirko Tavoni.
1. Tecnologie di insegnamento assistito e e-learning
Sono passati vent’anni dal primo boom internazionale dell’e-learning. È del 2000 l’E-learning Action Plan della Commissione Europea, il cui sottotitolo - Designing Tomorrow’s Education - i successivi vent’anni certamente NON hanno adempiuto. Da allora nella scuola italiana è arrivato quasi solo hardware: tipicamente le LIM, oggi Smart Board. Nessuna infrastruttura telematica che collegasse l’intero sistema scolastico creando le condizioni per la produzione e la circolazione di risorse didattiche digitali di qualità, nessuna formazione dei docenti alla cultura dell’e-learning, e una più che pervicace riluttanza delle case editrici a produrre “integrazioni digitali” al libro di testo che fossero qualcosa di diverso dalla sconfortante riproposizione in pdf degli stessi libri di testo. Solo la pandemia ha indotto l’unica forzata esperienza di “Didattica a distanza” (DAD) per le scuole italiane colpite dal lockdown. In quell’occasione, tutto lo spazio vuoto preesistente è stato occupato da piattaforme di semplice videoconferenza aziendale come Google Meet e Microsoft Teams, impari alle funzioni e alle esigenze didattiche comunemente assolte da diffusissime (ma non a scuola) piattaforme open source tipo Moodle. Dire che c’è un ritardo storico è il minimo.
2. Pervasività degli smartphone, connessione permanente e benessere digitale
Nel deficit di cultura dell’e-learning di cui sopra, non c’è da stupirsi se la propaganda generica e incompetente a “digitalizzare” l’insegnamento ha prodotto risultati di apprendimento scarsi, nulli o addirittura controproducenti, come dimostrano – fra tante altre – le ricerche del sociologo Marco Gui: Il digitale a scuola: rivoluzione o abbaglio? (il Mulino, 2019). Ma la cosa più grave è che la pervasività degli smartphone e l’assuefazione degli adolescenti (al limite della tossicità) alla connessione permanente creano condizioni di impoverimento cognitivo e disagio esistenziale di fronte alle quali la scuola si sente assediata senza sapere come reagire: si vedano, dello stesso Gui, A dieta di media. Comunicazione e qualità della vita (il Mulino, 2014) e Benessere digitale a scuola e a casa (Mondadori Università, 2019). Insomma la scuola, che non sa far fare agli studenti nessun uso intelligente del digitale, patisce un grave peggioramento delle condizioni educative a causa della condizione digitale onnipervasiva nella quale tutta la società, e quindi anche la scuola, suo malgrado, è inevitabilmente immersa.
3. Trattamento del linguaggio naturale e intelligenza artificiale
I test INVALSI dimostrano due insufficienze piuttosto gravi nei risultati di apprendimento sia al termine della scuola secondaria di primo grado sia al termine del primo biennio della scuola secondaria di secondo grado: 1) nella comprensione dei testi (e questo è ciò che tutti lamentano, perché è una carenza evidente a tutti, di valore indubbiamente generale); 2) nella comprensione dell’organizzazione logico-sintattica delle frasi (e questa è una carenza di cui ci si lamenta molto meno, perché decenni di svalutazione della grammatica hanno predisposto a considerare questa abilità meno importante o francamente inutile). Quanto alla seconda abilità, è interessante confrontare le scarsissime prestazioni degli studenti con le eccellenti prestazioni delle macchine: basti vedere la capacità di analizzare le frasi che hanno software a disposizione di tutti online, sia in termini di grammatiche a costituenti sia in termini di grammatiche a dipendenze. A questo proposito, due domande: a) ci viene in mente di confrontare la capacità di analisi della grammatica tradizionale con quella della linguistica computazionale? b) quanto pensiamo si possa andare avanti a formare umani così inconsapevoli delle regole grammaticali (= competenza) che pure sono scritte nelle loro menti di parlanti nativi, e di cui le macchine sono perfettamente “consapevoli”? Quanto invece alla prima abilità, la comprensione dei testi, è di questi giorni la notizia che Chat GPT ha superato la prova di comprensione di un testo dell’esame di maturità olandese con il voto di 9,8, praticamente irraggiungibile da qualunque studente (esperimento condotto dal professor Marc van Oostendorp della Radboud University di Rotterdam).
1. Tecnologie di insegnamento assistito e e-learning
Sono passati vent’anni dal primo boom internazionale dell’e-learning. È del 2000 l’E-learning Action Plan della Commissione Europea, il cui sottotitolo - Designing Tomorrow’s Education - i successivi vent’anni certamente NON hanno adempiuto. Da allora nella scuola italiana è arrivato quasi solo hardware: tipicamente le LIM, oggi Smart Board. Nessuna infrastruttura telematica che collegasse l’intero sistema scolastico creando le condizioni per la produzione e la circolazione di risorse didattiche digitali di qualità, nessuna formazione dei docenti alla cultura dell’e-learning, e una più che pervicace riluttanza delle case editrici a produrre “integrazioni digitali” al libro di testo che fossero qualcosa di diverso dalla sconfortante riproposizione in pdf degli stessi libri di testo. Solo la pandemia ha indotto l’unica forzata esperienza di “Didattica a distanza” (DAD) per le scuole italiane colpite dal lockdown. In quell’occasione, tutto lo spazio vuoto preesistente è stato occupato da piattaforme di semplice videoconferenza aziendale come Google Meet e Microsoft Teams, impari alle funzioni e alle esigenze didattiche comunemente assolte da diffusissime (ma non a scuola) piattaforme open source tipo Moodle. Dire che c’è un ritardo storico è il minimo.
2. Pervasività degli smartphone, connessione permanente e benessere digitale
Nel deficit di cultura dell’e-learning di cui sopra, non c’è da stupirsi se la propaganda generica e incompetente a “digitalizzare” l’insegnamento ha prodotto risultati di apprendimento scarsi, nulli o addirittura controproducenti, come dimostrano – fra tante altre – le ricerche del sociologo Marco Gui: Il digitale a scuola: rivoluzione o abbaglio? (il Mulino, 2019). Ma la cosa più grave è che la pervasività degli smartphone e l’assuefazione degli adolescenti (al limite della tossicità) alla connessione permanente creano condizioni di impoverimento cognitivo e disagio esistenziale di fronte alle quali la scuola si sente assediata senza sapere come reagire: si vedano, dello stesso Gui, A dieta di media. Comunicazione e qualità della vita (il Mulino, 2014) e Benessere digitale a scuola e a casa (Mondadori Università, 2019). Insomma la scuola, che non sa far fare agli studenti nessun uso intelligente del digitale, patisce un grave peggioramento delle condizioni educative a causa della condizione digitale onnipervasiva nella quale tutta la società, e quindi anche la scuola, suo malgrado, è inevitabilmente immersa.
3. Trattamento del linguaggio naturale e intelligenza artificiale
I test INVALSI dimostrano due insufficienze piuttosto gravi nei risultati di apprendimento sia al termine della scuola secondaria di primo grado sia al termine del primo biennio della scuola secondaria di secondo grado: 1) nella comprensione dei testi (e questo è ciò che tutti lamentano, perché è una carenza evidente a tutti, di valore indubbiamente generale); 2) nella comprensione dell’organizzazione logico-sintattica delle frasi (e questa è una carenza di cui ci si lamenta molto meno, perché decenni di svalutazione della grammatica hanno predisposto a considerare questa abilità meno importante o francamente inutile). Quanto alla seconda abilità, è interessante confrontare le scarsissime prestazioni degli studenti con le eccellenti prestazioni delle macchine: basti vedere la capacità di analizzare le frasi che hanno software a disposizione di tutti online, sia in termini di grammatiche a costituenti sia in termini di grammatiche a dipendenze. A questo proposito, due domande: a) ci viene in mente di confrontare la capacità di analisi della grammatica tradizionale con quella della linguistica computazionale? b) quanto pensiamo si possa andare avanti a formare umani così inconsapevoli delle regole grammaticali (= competenza) che pure sono scritte nelle loro menti di parlanti nativi, e di cui le macchine sono perfettamente “consapevoli”? Quanto invece alla prima abilità, la comprensione dei testi, è di questi giorni la notizia che Chat GPT ha superato la prova di comprensione di un testo dell’esame di maturità olandese con il voto di 9,8, praticamente irraggiungibile da qualunque studente (esperimento condotto dal professor Marc van Oostendorp della Radboud University di Rotterdam).