Roma 10 giugno 1940: l'Italia entra in guerra
Seconda guerra mondiale
Questo documento, realizzato da Andrea Barbato nel 1963, racconta come la città di Roma abbia vissuto l’entrata in guerra dell’Italia "distrattamente".
Nel 1939, quando Hitler stava per travolgere l’Europa nell’inevitabile conflitto, sembrava che la guerra nella capitale non sarebbe mai arrivata. L’annessione tedesca della Cecoslovacchia era stata talmente veloce da non impensierire, come pure le prime restrizioni, che apparivano solo un lugubre scherzo.
Il primo settembre del 1939, l’attacco alla Polonia segna per l’Europa l’inizio di un’epoca di lutti, fughe, fili spinati e grande fame. A Roma, come nel resto del paese, giungono notizie, ma la minaccia continua a sembrare lontana.
Il pomeriggio del 10 giugno 1940, con un discorso a Piazza Venezia, Mussolini dichiara che l’Italia sarebbe entrata in guerra. Si spera che la città sia considerata degna del privilegio dell’immunità, ma anche Churchill, interrogato in merito si pronuncia con una risposta enigmatica.
Il 14 giugno il primo allarme con un aereo nemico su Roma, che getta solo volantini, immerge la città nello spirito del conflitto. Quotidianamente si convive con esperimenti di protezione antiaerea, prove di salvataggio, sirene, ricoveri, maschere anti-gas. Il giornalista Ettore Della Riccia racconta un episodio sull’incapacità dei cittadini di utilizzare questi ultimi “strani strumenti”, tuttavia l’ottimismo continua a regnare in una città che si ritiene sacra, intoccabile, aperta, e non può, quindi, avere la stessa sorte delle altre capitali europee.
Il professore di diritto internazionale, Roberto Ago precisa quanto invece gli alleati potessero attaccarla in qualsiasi momento poiché raccoglieva obiettivi militari, quali la sede del governo, degli alti comandi e delle vie di comunicazione.
Nel 1939, quando Hitler stava per travolgere l’Europa nell’inevitabile conflitto, sembrava che la guerra nella capitale non sarebbe mai arrivata. L’annessione tedesca della Cecoslovacchia era stata talmente veloce da non impensierire, come pure le prime restrizioni, che apparivano solo un lugubre scherzo.
Il primo settembre del 1939, l’attacco alla Polonia segna per l’Europa l’inizio di un’epoca di lutti, fughe, fili spinati e grande fame. A Roma, come nel resto del paese, giungono notizie, ma la minaccia continua a sembrare lontana.
Il pomeriggio del 10 giugno 1940, con un discorso a Piazza Venezia, Mussolini dichiara che l’Italia sarebbe entrata in guerra. Si spera che la città sia considerata degna del privilegio dell’immunità, ma anche Churchill, interrogato in merito si pronuncia con una risposta enigmatica.
Il 14 giugno il primo allarme con un aereo nemico su Roma, che getta solo volantini, immerge la città nello spirito del conflitto. Quotidianamente si convive con esperimenti di protezione antiaerea, prove di salvataggio, sirene, ricoveri, maschere anti-gas. Il giornalista Ettore Della Riccia racconta un episodio sull’incapacità dei cittadini di utilizzare questi ultimi “strani strumenti”, tuttavia l’ottimismo continua a regnare in una città che si ritiene sacra, intoccabile, aperta, e non può, quindi, avere la stessa sorte delle altre capitali europee.
Il professore di diritto internazionale, Roberto Ago precisa quanto invece gli alleati potessero attaccarla in qualsiasi momento poiché raccoglieva obiettivi militari, quali la sede del governo, degli alti comandi e delle vie di comunicazione.