L'esordio di Ludovico, Annibale e Agostino Carracci
Controriforma a Bologna, fra pubblico e privato
Con una politica di vera e propria iconofila, la Chiesa Cattolica con uno degli ultimi decreti del Concilio di Trento, datato 1563, ribadiva e riconferma la necessità di raffigurazioni "reali", prive di invenzioni manieriste.Fin dall'inizio dello scisma tra Chiesa Cattolica e Protestante, le immagini sacre prodotte da artisti e commissionate da ricchi signori o ecclesiastici, furono oggetto di una delle dispute teoriche più esasperate e controverse
Tra le diverse personalità della chiesa romana che a fine Cinquecento pubblicarono trattati per delineare una sorta di dottrina tridentina della pittura, Discorso intorno alle imagini sacre e profane (1582), del cardinale e vescovo di Bologna, Gabriele Paleotti (1522–1597), apriva in città una nuova era artistica.
Nel filmato qui proposto, Philippe Daverio introduce la nascita del naturalismo bolognese dei Carracci (Passepartout. Carracci che sorpresa, 2006), focalizzando l'attenzione su Paleotti, figura chiave della Controriforma bolognese.
Inoltre, tutti gli artisti erano invitati a rispettare i canoni del “decoro” e dunque a nascondere le nudità e ad evitare il più possibile le storie tratte dai miti classici e antichi. Noto l'episodio del 1564 quando, un anno dopo la fine del Concilio di Trento, venne decisa la censura dei nudi ritenuti scandalosi nel Giudizio Universale della Cappella Sistina. Michelangelo era già morto, il 18 febbraio dello stesso anno e il collaboratore ed amico del grande artista, Daniele da Volterra (1509-1566), ricopriva le nudità delle figure con le famose "braghe", diventando da allora il Braghettone, seguito da molti altri nei secoli successivi.Quale immagine esigeva la chiesa dai pittori per diffondere il nuovo messaggio controriformato? In primis, chiedeva la stretta osservanza delle sacre scritture da interpretare con realismo oggettivo in narrazioni pittoriche semplici e chiare, efficaci anche per gli analfabeti
Il trio, costituito dai fratelli Agostino (1557-1602) ed Annibale (1560-1609), con il cugino Ludovico (1555-1619), nel 1582, fondava l’Accademia pittorica dei Desiderosi, in seguito, Accademia degli Incamminati.Il vescovo bolognese Paleotti, dava risposta a queste esigenze cogliendo i frutti del primo radicale cambiamento proprio nel programma figurativo dei giovani Carracci
Qui, luogo centrale per il profondo rinnovamento, volto a superare il Manierismo ricercato e imponente fissato sui muri dei palazzi bolognesi da Pellegrino Tibaldi (1527-1596), veniva attuata, per comune volontà dei tre Carracci, la così detta "rivoluzione naturalistica", qualche anno prima dell'esordio di Caravaggio.
Il "naturale caraccesco", tuttavia, catturato con il disegno, guardava ancora al pensiero vasariano di imitazione delle forme organiche e delle strutture plastiche dei corpi, alla maniera di Raffaello e dei grandi artisti cinquecenteschi.All'Accademia degli Incamminati infatti, vigeva un imperativo metodo di lavoro, la copia dal vero
Infatti, la verosimiglianza adottata dai Carracci, formati sugli esempi figurativi del primo Rinascimento, non escludeva le nudità dentro le case dei privati, ma solo nei luoghi sacri.
Nell'Accademia degli Incamminati, gli artisti copiavano dal vero i modelli nudi, esemplari da adottare poi nelle decorazioni dei palazzi signorili della città che pullulavano di allegorie tratte dai miti classici, piene di Adoni e ghirlande. Nel mentre, I tre Carracci dipingevano su commissione pale d'altare pulite e caste, ricche di sentimento e naturalezza.Una Controriforma tutta bolognese e a fasi alterne, distante dai rigidi precetti della chiesa romana
La nascita dell'Accademia inoltre, sanciva una nuova figura di artista, non più solo artigiano, ma alla pari di poeti e musicisti. L'Accademia Carracci, infatti, dava una formazione completa, sia pratica, sia teorica e questo, grazie a riproduzioni a stampa di testi figurativi che i tre maestri, in particolare Agostino, eseguivano appositamente.
Agostino Carracci, Ritratto di Tiziano Vecelio, 1587, incisione © Archivio GBB Agenzia Contrasto
Agostino Carracci, fratello maggiore di Annibale, aveva frequentando la bottega di un orafo dove aveva appreso l'incisione. In numerosi viaggi studio, soggiornò ripetutamente tra Venezia (1582 e 1589) e Parma (1586 e 1587); nella Serenissima, entrò in stretti rapporti con Paolo Veronese, del quale divenne l'incisore ufficiale, mentre con Tintoretto, il sodalizio fu così forte che il veneziano avrebbe fatto da padrino di battesimo per Antonio Carracci, figlio di Agostino, nato Venezia.
Ludovico Carracci, Madonna col bambino, 1618, Pinacoteca Capitolina, Roma
Ludovico Carracci, che visse sempre a Bologna, fondò e diresse l'Accademia, ma dei tre artisti, fu quello che assecondò maggiormente i precetti del Paleotti, anche perché spesso impegnato in opere pubbliche. Tuttavia, malgrado i severi dettami, Ludovico riesce a mantenere un’altissima qualità e una sincera interpretazione dei dettami di Paleotti, la sua è una religiosità popolare, espressa in scene intime e piene di frammenti di vissuto quotidiano.
Diversa la sorte di Annibale Carracci che, giunto a Roma nel 1595, innestò il rigoroso studio del vero praticato a Bologna, ai moduli stilistici del tosco-romani, conciliando così il "naturale" con l'Ideale classico (Guido Reni e la scuola dei Carracci a Roma).Lo stile di Ludovico rimane umile e semplice, profondamente poetico e per questo molto spirituale, lontano dai toni sofisticati del Manierismo
Assieme a Caravaggio, Annibale influì intensamente sulla scena pittorica romana di fine Cinquecento, tanto che i pittori del Barocco, nei primi decenni del Seicento, guardarono proprio al suo capolavoro lasciato in città, la volta della Galleria Farnese (Annibale Carracci e Palazzo Farnese a Roma).
Come scrisse il primo biografo dei Carracci, Carlo Cesare Malvasia (1616–1693), nella sua Felsina Pittrice del 1678, il punto cruciale della riforma di questi artisti stava nell'aver messo a punto una pittura "che assolutamente è di viva carne".
Nel 1584, a Palazzo Fava di Bologna, i Carracci realizzarono il loro primo importante lavoro su commissione, un ciclo di affreschi situati al piano nobile.
La storia dei Fava, una delle famiglie più antiche di Bologna, fu caratterizzata fin dagli albori da esponenti molto eruditi, figure che si distinsero nelle scienze, nelle lettere e nella vita politica.Il ciclo di Palazzo Fava, fu definito da Roberto Longhi un "romanzo storico", immaginato sulla grande pittura precedente, ma capace di oltrepassare le secche del Manierismo e di comunicare direttamente ad apertura, non di libro, ma di finestra
Il 22 maggio 1579, Filippo Fava sposava Ginevra Orsi e pochi anni più tardi, nel 1584, commissionava ai tre giovani Carracci la decorazione del salone e delle stanze del piano nobile, grazie all’intercessione di Antonio Carracci, padre di Annibale e Agostino e sarto della nobile famiglia bolognese.
Nel salone del piano nobile, il fregio affrescato scorre lungo la cornice delle pareti; ai cicli di affreschi che fino a quel momento prevedevano la presenza massiccia di decorazioni, i Carracci oppongono una pittura leggera, chiara e brillante tutta incentrata sul filo del racconto.In questa prima importante impresa, i tre pittori diedero prova del loro talento in un gioiello assoluto dell’arte bolognese e italiana, un manifesto della loro riforma pittorica all'insegna di un naturalismo antiaccademico già maturo
Lo spunto narrativo che proveniva dal mito eroico di Giasone e Medea, probabilmente allude alle virtù eroiche dei membri di casa Fava, primo fra tutti Alessandro, caduto nella vittoriosa battaglia di Lepanto.
In ben diciassette riquadri, i Carracci raccontano le Storie degli Argonauti e dell’avventuroso viaggio di cinquanta eroi che, a bordo della nave Argo, arriveranno in terre ostili alla riconquista del vello d’oro.
Osservando il ciclo da vicino, risultano visibili, seppur lievi, i diversi tocchi di profondità e prospettiva a contraddistinguere la diversa mano dei tre artisti
Su tutte le scene, spicca l’episodio degli Incanti notturni di Medea, nel quale la maga si purifica al ruscello sotto i raggi della luna, assorta e seducente, nel “primo nudo moderno della storia dell’arte“, come osservava Andrea Emiliani.
Gli incanti notturni di Medea, Ludovico, Agostino ed Annibale Carracci, 1584, dettaglio, Palazzo Fava, Bologna
Nei primi anni Novanta del Cinquecento, nella sala adiacente il salone, Ludovico fu incaricato di eseguirne un fregio con Storie dell’Eneide; qui si avvalse dei numerosi allievi della sua scuola, tra cui Francesco Albani e Bartolomeo Cesi.
Nel 1577, Magnani affidava a Domenico Tibaldi la costruzione del suo Palazzo situato in via Zamboni, a pochi passi dalle Due Torri. Nel 1590, papa Sisto V nominava Magnani senatore, un titolo agognato per l’uomo più ricco di Bologna che aveva già predisposto il nobile ed elegante palazzo ad imitazione di quelli romani.La seconda e importante commissione ad affresco dei Carracci, arrivò da un importante personaggio della nobiltà bolognese, Lorenzo Magnani
Annibale Carracci, Ritrovamento dei gemelli Romolo e Remo, 1590-91, dettaglio, Palazzo Magnani, Bologna
Per compiacere il pontefice, Magnani scelse di decorare il salone al piano nobile con le storie di Plutarco sulla fondazione di Roma. Fedeli alla lettura del testo classico, il racconto dei tre Carracci si snoda in quattordici riquadri, a cominciare dal Ritrovamento dei gemelli Romolo e Remo, nella campagna del Lazio, oggi attribuito ad Annibale, per lo scorcio di paesaggio vero e pulsante (Annibale Carracci: Natura e Ideale). Per il neo eletto senatore, i tre Incamminati, già famosi per Palazzo Fava, furono capaci di mischiare sacro e profano, cultura popolare e sapere letterario, una capacità di fantasticare che nulla toglieva alla serietà e alla qualità della loro arte.
Il salone nobile rappresenta il gioiello di Palazzo Magnani. Come a Palazzo Fava, qui il fregio pittorico posto nella parte alta del muro perimetrale, conferma la consolidata tipologia decorativa tipicamente bolognese.Quando i contemporanei chiedevano ai tre pittori chi di loro avesse fatto cosa, questi rispondevano in coro: "ella è de’ Carracci, l’abbiamo fatta tutti noi"
La scelta di determinate scene, come la Battaglia di Romolo o il Ratto delle Sabine, non è casuale, essa fa riferimento alla realtà dell’epoca, alla lotta al banditismo e allo strapotere papale romano.
FOTO DI COPERTINA
Gli incanti notturni di Medea, Ludovico, Agostino ed Annibale Carracci, 1584, Palazzo Fava, Bologna