Gli inizi di Mattia Preti a Roma

Gli inizi di Mattia Preti a Roma

Una mostra a Palazzo Barberini del 2019

Gli inizi di Mattia Preti a Roma
La mostra "Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti", a cura di Alessandro Cosma e Yuri Primarosa (Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini, 2019), ha riproposto un esame degli anni formativi di Mattia Preti (1613-1699), nella bottega romana del fratello Gregorio (1603-1972).
Il percorso di apprendimento del giovane Mattia, ruota attorno a un'opera chiave eseguita a due mani con il fratello, l'Allegoria dei cinque sensi (Gallerie Nazionali, Roma), una monumentale tela oggi restaurata, rimasta per anni in deposito presso il Circolo Ufficiali delle Forze Armate a Palazzo Barberini. 


Gregorio e Mattia Preti, Allegoria dei cinque sensi, 1642 – 1646, olio su tela, 200×396cm., Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, Roma

L’enorme quadro di formato orizzontale rappresenta una scena di taverna caravaggesca, con venti figure che simboleggiano i cinque sensi: i suonatori alludono all’udito, il fumatore di pipa all’olfatto, l’oste e i bevitori richiamano il gusto e la scena di chiromanzia definisce il tatto. In primo piano, in basso, un pittore con pennelli e tavolozza guarda lo spettatore, forse è lo stesso Gregorio che allude al senso della vista. Alla mimica espressiva dei due filosofi collocati all’estremità destra della tela, Eraclito piangente e Democrito gaudente, è affidato il monito sulla natura ingannevole dei sensi.
Queste scene cupe e affollate, con fanciulli piumati, musici, cantori, indovine e servi, rischiarate solo da pochi fulgidi colpi di luce, sono molto comuni nella cerchia dei caravaggeschi.


Gregorio e Mattia Preti, Allegoria dei cinque sensi, dettaglio

Il blu lapislazzuli, percorre tutta la tela come a segnare un ritmo, una cadenza cromatica che accompagna morbidamente lo sguardo: dalla manica del liutista al bordo sinistro, alla tunica del chitarrista, dai polsini del giocatore di morra, alla tunica del filosofo a destra.

Oltre all'accentuata nota caravaggesca, il sottile cromatismo dell'opera è un accenno dichiaratamente veneziano, ma riferito anche a Guercino e Lanfranco

I due artisti dunque, sintetizzano tutti i nuovi punti di riferimento della pittura romana, come farà poi, una volta indipendente, lo stesso Mattia. 
Più grande di dieci anni, Gregorio arriva a Roma nel 1624, forse con il fratello ancora giovanissimo, dal Meridione profondo, precisamente da Taverna, luogo natio disperso tra i monti della Sila in Calabria.
In quegli anni, l'Urbe era sotto l’egida barberiniana, con l'ascesa al soglio pontificio di Maffeo Barberini, papa Urbano VIII (1606-1644), la stessa famiglia legata all'opera, Il trionfo dei sensi, documentata negli inventari seicenteschi custoditi nel  Palazzo romano.
Non sappiamo Mattia fosse arrivato a Roma a soli undici anni con il fratello, ma se fosse vero, avrebbe goduto della condizione ideale di vivere pienamente l’evoluzione culturale in atto nell'Urbe del terzo decennio del Seicento, quando la pittura era ancora profondamente segnata dall’arte di Caravaggio, e non solo. 


Giovanni Lanfranco, Cupola di Sant'Andrea della Valle, 1623-'28, Roma

A Roma, era allora in piena attività anche il parmense Giovanni Lanfranco (1582–1647), artista preferito di Paolo V, e autore degli affreschi della grandiosa cupola di Carlo Maderno, a Sant’Andrea della Valle (1623-1628). Questo capolavoro che annuncia l’illusionismo barocco, qualche anno prima era stato preceduto da un altro affresco che a Roma disseminava le prime forti suggestioni di Annibale Carracci (Annibale Carracci e Palazzo Farnese a Roma). Si tratta del Casino Ludovisi (1621), affrescato da Guercino (soprannome di Giovanni Francesco Barbieri; 1591–1666), voluto dal cardinal nipote di Gregorio XV, Ludovico Ludovisi, grande stimatore dell'artista. 

Lanfranco e Guercino, sono stati due artisti molto importanti per Mattia Preti, ma sicuramente, ripresi con insistenza in una fase matura e più avanzata della sua carriera, a partire dagli anni Quaranta del Seicento

Mattia Preti è documentato per la prima volta a Roma solo nel 1632, a diciannove anni, e oltre ad essere istruito da Gregorio, è anche introdotto nel mercato dei collezionisti. 
Mattia matura presto una personalità indipendente e soprattutto, una qualità pittorica e creativa ben superiore rispetto a Gregorio che, ancora in piena maturità negli anni Quaranta, palesava modi ripetitivi e schemi già ampiamente sperimentati rispetto al giovane fratello. 


Mattia Preti, Gesù con la madre ed i figli di Zebedeo, 1633 ca., olio su tela, 143x193cm., Pinacoteca di Brera, Milano

Gesù con la madre ed i figli di Zebedeo, detto Sinite parvulos, è un tipico esempio di adesione ai modelli caravaggeschi ed in particolare, alle elaborazioni di Bartolomeo Manfredi (1582-1622), evidente soprattutto nell’episodio del suo pendant, Il tributo di san Pietro, ambientato intorno al tavolo di un’osteria romana. L'unica fonte di luce del quadro, proveniente da sinistra ed esalta i dettagli naturalistici di volti, tessuti, vesti e dettagli vari, un tipico esempio di “manfrediana  methodus” adottato dai caravaggeschi con i quali Mattia Preti entrava in contatto negli anni romani.


Mattia Preti, Soldato, 1633-'35 ca., olio su tela, 130x100cm., Museo Civico, Rende

Nel Soldato, la luce trasversale, proveniente da una fonte esterna e inonda la figura con brevi tocchi di ombre che rivelano particolari delle vesti e dettagli anatomici. Gli effetti luministici sullo zigomo e l’orecchio, le borchie e le rifiniture della corazza, l’asta dell’alabarda e le piume, la sciarpa tesa sul petto e increspata alle spalle, sono motivi peculiari della poetica "manfrediana" nella quale progredì la formazione di Preti nella sua particolare interpretazione del caravaggismo. Il Soldato, inoltre, trova confronti più calzanti nelle tele di "giochi" e "concerti", eseguite dal "Cavaliere calabrese", come era denominato Mattia, nel periodo di soggiorno romano. Pertanto, la tela è oggi considerata parte di una simile composizione di una scena molto grande a due o tre figure, da cui, come succedeva spesso in passato, si è estratto il frammento.


Mattia Preti, Fuga da Troia, 1645'-50 ca., olio su tela, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Corsini, Roma

Fuga da Troia, della metà del quinto decennio, rappresenta il primo ambizioso tentativo di Preti di allontanarsi dai modelli di Manfredi, anche se non sono ancora percepibili le esperienze neovenete e romane che saranno determinanti per tutta la sua produzione successiva.
Preti si misura con una impegnativa pittura di storia in un ambiente aperto. 

La caratteristica più evidente e originale del dipinto è la struttura compositiva, in parte ripresa dal prototipo raffaellesco dell’Incendio di borgo e, in particolare, il senso di concitazione e movimento che il pittore ha saputo imprimere alla scena per esaltare la drammaticità del fatto

La brillante gamma cromatica, rimanda ai francesi Valentin de Boulogne (1591–1632) e Nicolas Poussin (1594-1665), modelli presenti a Roma: in particolare, l’azzurro del manto di Enea, il giallo della tunica e il bianco del panno che ricopre Ascanio, fanno supporre che l’incontro con Poussin, oltre che con l’ambiente neoveneto romano, sia già avvenuto. Nel dipinto inoltre, è evidente anche un significativo e riconoscibile influsso dello scultore Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), all’epoca l’artista più prestigioso e potente della città, prediletto di Urbano III, e punto di riferimento obbligatorio per un giovane provinciale di grandi speranze. È al Bernini che si rivolge Preti per costruire il suo primo significativo capolavoro, la sua prima commissione importante per la quale, cita la scultura dinamica nella figura di Ascanio in corsa in primo piano, che sembra risentire di Apollo, nel gruppo marmoreo conservato nella Galleria Borghese.


Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-'25, marmo, h. 243 cm., Galleria Borghese, Roma

Negli anni Quaranta del Seicento, Mattia Preti viaggiava a Venezia, attraverso Firenze e l'Emilia Romagna. 
Tornato a Roma, Preti tornò a lavorare sia per il collezionismo nobiliare dell'Urbe, come i Sacchetti, i Pamphilij e i Raggi, sia per commesse pubbliche. La più importante di queste, furono gli affreschi dell'abside della basilica di Sant'Andrea della Valle, dove Preti poteva confrontarsi con la scuola bolognese di Lanfranco, Guercino e Domenichino. 


Mattia Preti, affreschi di Sant'Andrea della Valle, 1650-'51, Roma 

Le scene con il Martirio di Sant'Andrea, si collocano tra le più importanti commesse della Roma barocca di quegli anni. Nel 1650, Preti era incaricato dal cardinale Francesco Peretti Montalto di affrescare la volta della navata ma, per ultimare l'opera in tempo per il Giubileo, Peretti dirottò la commessa alle sole pareti dell'abside. A questo punto le scene furono ridotte da quattro a tre (Martirio, Crocifissione e Sepoltura del santo) per un compenso di 700 scudi. 
Gli artisti emiliani già presenti a Sant'Andrea della Valle, erano stati di fatto i precursori dei cicli interni delle cupole barocche che si sarebbero diffuse da Roma, a Napoli e in tutta Europa.
Preti non riuscì a ottenne gli elogi sperati dai committenti, che rimasero di fatto delusi perché il lavoro del Cavalier calabrese non era in grado di comunicare con i predecessori.
Dal 1653, Mattia Preti risulta a Napoli, dove si inserirà in un processo di rinnovamento della pittura napoletana, instaurando un rapporto di scambio reciproco con un altro grande pittore locale più giovane, Luca Giordano (Caravaggio e i caravaggeschi a Napoli). A Napoli, il pittore divenne ben presto il principale artefice, assieme a Giordano, dello sviluppo della scuola pittorica locale della seconda metà del secolo, quando la città partenopea inizia a parlare la lingua italiana del barocco.

FOTO DI COPERTINA
Mattia Preti, Il fumatore, dettaglio