Bernini e il Cardinal Scipione

Bernini e il Cardinal Scipione

Una mostra alla Galleria Borghese

Bernini e il Cardinal Scipione

Bernini nasce dentro la villa Borghese di Scipione Borghese e nasce immediatamente come scultore di statue monumentali
Anna Coliva

Con queste parole, Anna Coliva, ex direttrice della Galleria Borghese, presenta la mostra "Bernini", allestita nel 2017, in occasione dei vent’anni di riapertura del prestigioso museo romano (1998). La villa, che contiene il nucleo più apprezzabile e spettacolare di marmi, dipinti, bozzetti e disegni dell'artista, è la sede ideale per considerare l’insieme della produzione di Bernini nel rapporto con il colto e vorace "Cardinal nepote", collezionista raffinatissimo (I Caravaggio di Scipione Borghese).
Percorrendo l’intero arco della lunghissima carriera di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), sviluppata in quasi settant'anni di attività, la mostra di circa ottanta opere, metteva a fuoco anche lo stretto rapporto dell'artista con la pittura del suo tempo che, negli Venti del Seicento, era ai primi albori del Barocco (La libertà di Bernini. Gli inizi).

Bernini ha il suo concetto forte di scultura nella statua. La statua come rappresentazione dell’essere umano in rapporto strettissimo con l’antico, perché l’antico, era proprio il concetto fondamentale della statua
Anna Coliva

Non ancora ventenne, Bernini studiava la classicità nella nuova villa di Scipione che ospitava una delle più straordinarie collezioni di scultura antica romana. 


Gian Lorenzo Bernini, Enea, Anchise e Ascanio, 1618-'19, marmo, 220cm., Galleria Borghese,  Roma  

Non badante delle consuetudini, Scipione metteva il giovane di fronte al suo primo enorme blocco di marmo, dal quale scaturiva il gruppo, Enea, Anchise e Ascanio in fuga da Troia (1619), episodio tratto dall’Eneide virgiliana che, per il cardinale, simboleggiava il passaggio storico e teologico dei poteri supremi dall'antica città greca, a Roma. Scipione, identificato con l'eroe greco, sostiene Anchise, l’anziano zio papa Paolo V

L'abile Bernini, traduce nel marmo il tema intrinseco delle tre età dell’uomo, attraverso la differenziazione delle epidermidi: la pelle morbida di Ascanio, quella tesa di Enea e quella rugosa e avvizzita di Anchise 

Inoltre, come farà in seguito, fin da questo gruppo il giovane Bernini sceglie due precisi punti di vista, la parte frontale e il lato destro, come testimoniano le diverse aree "non finite" e dunque non visibili. Una scelta questa, che avvicina il giovane Bernini alla lezione di Michelangelo (1475-1564), considerato il più grande fra gli scultori.


Gian Lorenzo Bernini, Il ratto di Proserpina, 1621-'22, marmo di Carrara, altezza 364cm., Galleria Borghese, Roma

Rispetto ad Enea ed Anchise, gruppo abbastanza statico ma che comunque piacque moltissimo a Scipione, con il Ratto di Proserpina (1621-'22), le figure esplodono nello spazio dello spettatore e Bernini, inizia ad imprimere alla scultura un movimento fino ad allora inedito. 

Bernini sceglie di rappresentare il momento culminante dell'azione e inizia a plasmare il marmo con la stessa libertà con cui i pittori usano i pennelli 

Come nel mito di Ovidio, il fiero dio degli Inferi Plutone, sta trascinando Proserpina nell’Ade; la giovane si divincola mentre il dio, con i muscoli tesi nello sforzo di sostenerla, affonda le mani nella carne.


Gian Lorenzo Bernini, Il ratto di Proserpina, dettaglio

Il giovane scultore sperimenta un impianto compositivo ai limiti delle leggi statiche. Se l’avvitamento di Proserpina è un virtuosismo ancora  manierista, la potenza della plastica, la tenerezza sensuale delle carni, l’intensità del sentimento espresso nei volti, sono parte del nuovo linguaggio di Bernini, fondato sul naturalismo e nella straordinaria resa materica delle superfici. E mentre studia la statuaria classica e recupera gli strumenti antichi per imprimere movimento e vita alle sue figure, apprende i valori pittorici dai grandi protagonisti del primo Seicento romano, come Annibale Carracci, Caravaggio e Rubens


Gian Lorenzo Bernini, Il David, 1623-'24, Galleria Borghese, Roma

Il David (1623-'24), unica opera giovanile di soggetto biblico del Bernini, era stata commissionata all'artista, nel 1623, per la villa dal cardinal Montalto, ma alla morte precoce di questi, subito Scipione decise di rilevare la commissione. 

Bernini raffigura l'eroe nell’istante che precede il lancio della pietra che colpirà il gigante Golia, chiamato dai Filistei per combattere contro l’esercito israelita del re Saul

Ancora una volta, lo scultore rappresenta l'azione al suo culmine, mentre David si concentra sul bersaglio di Golia, stringendo gli occhi e mordendo il labbro inferiore. Montanari, utilizza il termine cinematografico di "soggettiva" per spiegare il punto di vista del David (La libertà di Bernini. L'esplosione) e stimolare così non tanto la devozione e la spiritualità dell'osservatore, ma le sensazioni più basse e incontrollabili, come paura e sorpresa.

L'espressività adottata da Bernini, porta i suoi marmi a vivere in una contingenza fin'ora inedita. All'epoca si parlava di "teoria degli affetti" che nel Novecento, diverrà psicologia 

L'Apollo e Dafne (1622-'25), capolavoro di grande successo fin dai giorni della sua realizzazione (Tempo e spazio nell'Apollo e Dafne di Bernini), fu discusso da cardinali e clero perché troppo sensuale, realistico e soprattutto, mancante di quel "decoro" che, circa vent'anni prima, veniva rimproverato a Caravaggio nelle prime pale d'altare. 
La metamorfosi, fino ad allora ritenuta oggetto del solo pennello, materia per pittori e non per scultori, nel gruppo è una dimostrazione di incredibile virtuosismo tecnico e del sapiente utilizzo dei tradizionali strumenti del mestiere che Bernini recuperava dalle maniere della statuaria antica.

Bernini recupera soprattutto il lavoro di trapano per rendere le dita di mani e piedi che si trasformano in foglie e radici, o le ciocche di capelli in movimento

Inoltre, i colpi di scalpello a gradina per la corteccia e i diversi gradi di finitura per differenziare la superficie del panneggio da quella dell’incarnato, denotano una padronanza già matura degli strumenti.


Gian Lorenzo Bernini, Busto di Scipione Borghese, 1632, 100×82×48cm., Galleria Borghese, Roma

Tra i molteplici ritratti in marmo presenti in mostra, spiccano i due busti, simili, del Cardinale Scipione Borghese (1632), che Bernini eseguì, due volte per un difetto nel marmo. 
La volumetria più essenziale, la resa psicologica approfondita e la maggiore forza espressiva, sono elementi che denotano un cambiamento stilistico e formale nella produzione di busti dell'artista.
Scipione, attese fino al 1632, per aggiungere alla sua collezione un proprio ritratto, busto che fu commissionato a Bernini dal nuovo pontefice Urbano VIII, per il quale lo scultore lavorava ormai a tempo pieno, nella basilica di San Pietro.

Come Rubens e Van Dick, nella ritrattistica pittorica del Seicento, Bernini traduce nel marmo il motivo del colloquio con l’osservatore 

Il cardinale, seppure rappresentato secondo i canoni dell’ufficialità, acquista nel ritratto una dimensione intima, perché colto nella transitorietà di uno stato d’animo, con la testa leggermente rivolta a sinistra, la bocca socchiusa e il colletto slacciato.
Infatti, Bernini era convinto che la somiglianza si ottenesse con il movimento, non copiando minuziosamente i tratti del volto in posa. Questa nuova individualità tutta berniniana, è stata definita dagli studiosi dell'artista, non a caso, “ritratto parlante”.

INFO
Galleria Borghese