Domenichino: il sentimento "naturale" del classico
Un bolognese a Roma
Durante l'apprendistato presso la bottega del pittore fiammingo Denijs Calvaert (1540-1619), Domenichino (1581–1641) conosce i futuri compagni di strada, Guido Reni (1575-1642) e Francesco Albani (1578-1660), con il quale, in particolare, stringe una fraterna amicizia sigillata anche da affinità artistiche.Domenico Zampieri, noto come Domenichino, forse per la statura, forse per l'indole ingenua e timida, era nato a Bologna da una modesta famiglia e prima di approcciare la pittura, aveva studiato Grammatica e Retorica
L'incontro di Domenichino con i Carracci, gli artisti più in voga di Bologna, fu una svolta per il giovane, subito accolto nell'Accademia "del naturale", allora retta da Agostino (1557-1602) e Ludovico (1555-1619), in assenza di Annibale (1560-1609), operoso a Roma (Esordio di Ludovico, Annibale e Agostino Carracci). Già nel 1600, in occasione del Giubileo, Ludovico affidava ad Albani la direzione della squadra che avrebbe affrescato l'Oratorio di San Colombano (Bologna); il pittore prediletto, era seguito da Domenichino, Reni ed altri artisti appartenenti alla scuola.Si narra che nel 1595, Calvaert cacciava dalla sua bottega Domenichino, perché sorpreso a copiare stampe di Agostino Carracci
Ritratto di Domenichino, stampa del '700
Nel 1602, Domenichino e Albani lasciavano Bologna per trasferirsi a Roma in aiuto di Annibale Carracci, all'opera nel grande cantiere della Galleria Farnese (Annibale Carracci e Palazzo Farnese a Roma). Domenichino, che mosse i primi passi romani alla Galleria e al Giardino attiguo al palazzo (1604-1605), divenne così allievo di Annibale fino alla morte.
Mentre a Bologna, Ludovico Carracci istruiva Reni e Guercino (1591-1666), forse l'artista più moderno del gruppo (L'affresco barocco: da Guercino a Cortona), Annibale, maestro generoso e di insegnamenti esemplari, dai ponteggi romani della volta Farnese infondeva i suoi saperi a Domenichino, Albani e Giovanni Lanfranco (1542-1647).I grandi pittori italiani dei primi decenni del Seicento, furono per la maggior parte di scuola caraccesca; dall'Accademia bolognese, uscivano artisti già "specializzati" e formati secondo la propria indole in una particolare primizia pittorica
Lanfranco, esalterà le componenti dinamiche della pittura aprendo la strada alle vorticose volte barocche di Pietro da Cortona (Lanfranco e Domenichino a Sant'Andrea della Valle). Albani e Domenichino, in perfetta sintonia, trasformavano l'eroica mitologia di Annibale in una formula fortunatissima, tutta giocata sul recupero del classico e del "Bello Ideale".
Domenichino, La via del Calvario, 1610 ca., olio su rame, 55,2x67,6cm., Paul Getty Museum Los Angeles
Sia Albani, sia Domenichino, furono molto richiesti e contesi dai facoltosi collezionisti romani per le loro piccole e brillanti opere, di fruizione privata, eseguite ad olio e in punta di pennello su lastra di rame.
Tuttavia, dopo i primi dipinti databili fra il 1603 e il 1604, forte degli insegnamenti caracceschi, Domenichino si specializzava nella tecnica ad affresco; nei suoi cicli pittorici monumentali, riuscirà a colpire l'immaginario dei suoi contemporanei attraverso la "teoria degli affetti", ossia quella resa empatica e profonda dei sentimenti tesa a coinvolgere lo spettatore.
Fervente fautore del nuovo Classicismo seicentesco, ispirato a Raffaello e ad Annibale, Domenichino era un maestro del disegno, capace di composizioni complesse, ma sempre chiare ed animate da personaggi idealizzati in ritratti sentimentali.Domenichino rivela, nei motti dei corpi e nelle espressività dei volti, le emozioni che animano e scuotono le figure in gesti enfatici e pose teatrali di gusto barocco
Tramite Annibale, nei primi anni romani Domenichino fu protetto e promosso dal Cardinale bolognese Girolamo Agucchi (1570-1632), segretario del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII (1592-1605). Per lui, nel 1604, dipinse la Liberazione di San Pietro (San Pietro in Vincoli), ed ottenne la prima commissione pubblica: tre lunette per la Chiesa di Sant’Onofrio al Gianicolo (1604-'05).
Domenichino, dettaglio di affresco, 1604-'05, Chiesa di Sant’Onofrio, Roma
Domenichino condivise con Agucchi l'amore per l'arte e per il gusto classico, un'intesa dalla quale scaturiscono le prime speculazioni teoriche sul "Bello Ideale" seicentesco, raccolte dal Cardinale nel suo "Trattato della pittura", redatto intorno al 1610 e mai pubblicato.
Per la famiglia Farnese, oltre alla Galleria e alla Loggia del Giardino del palazzo, nel 1608 Domenichino iniziava l’affresco della Flagellazione di Sant’Andrea, nella Chiesa di San Gregorio al Celio, dove le piccole figure, troneggiano in una piazza romana chiusa da un muro e dalle colonne di un tempio, nello sfondo di una città antica.
Domenichino, dettaglio di affresco, 1608, Abbazia di San Nilo, Grottaferrata, Roma
Nel 1608, tramite il cardinale Agucchi, Domenichino ottiene l'incarico di affrescare la Cappella dei Santi Fondatori nell’Abbazia di San Nilo a Grottaferrata, per il cardinale Odoardo Farnese.
Nel "San Bartolomeo che esamina il progetto della chiesa", l’architetto ha le sembianze del suo maestro Annibale; nel "San Nilo che incontra l’imperatore Ottone III di Germania", appare l’abate Giuliano Boccarini, in carica quegl'anni (San Nilo), il Cardinale Odoardo Farnese (Ottone III) e Alessandro padre (il vecchio alle spalle dell’imperatore), Monsignor Agucchi (personaggio che scende da cavallo), e Domenichino (palafreniere del cavallo a sinistra), affianco agli amici, Reni (l’uomo appoggiato al cavallo) e Guercino (il soldato con la lancia).In questo piccolo gioiello di altissima qualità pittorica, l'artista dipinge quattro scene animate da personaggi nei cui volti sono riconoscibili tutti i protagonisti della prestigiosa commissione, compreso sé stesso
Domenichino, dettaglio di affresco di Villa Giustiniani Odescalchi, 1609, Bassano di Sutri
Nel 1609, con la bottega di Annibale, Domenichino e Albani partecipano alla decorazione del palazzo-villa di campagna dei Giustiniani (Bassano di Sutri, Viterbo), una dimora tutta affrescata, dalle cinquecentesche grottesche del porticato nel cortile esterno, alle volte e soffitti delle diverse stanze del piano nobile, tutte di scuola caraccesca. Domenichino realizza alcune storie mitologiche di Diana, divinità italica e romana, raffigurata nei panni di cacciatrice.
Domenichino, Storie di Santa Cecilia, 1612, dettaglio affreschi, San Luigi dei Francesi, Roma
Le prime commissioni indipendenti di Domenichino, arrivano dopo la morte del maestro, all’inizio del secondo decennio del secolo. In un'impresa durata tre anni, l'artista porta a termine la decorazione della cappella di Pierre Polet, in San Luigi dei Francesi, con le Storie di Santa Cecilia (1612). Qui, le figure animate in pose enfatiche e "sentimentali", sono derivate da studi di statue classiche antiche e da Raffaello.
Annibale Carracci, Fuga in Egitto, 1603, olio su tela, Galleria Doria Pamphilij, Roma
Nella Villa Aldobrandini di Frascati, Domenichino decorava la Stanza di Apollo, o delle Muse (1616-1618), con una serie di splendidi paesaggi. Memore degli insegnamenti di Annibale, l'artista coltivava nella sua produzione anche questo nuovo genere pittorico, personalizzando i suoi scorci naturali, in scene "pastorali" di arcadia brulicanti di figurine. A queste date, i paesaggi di Domenichino sono già un esempio di "paesaggio classico" seicentesco, un prodotto destinato ad amatori che nella Roma Barocca, verrà trattato dai pennelli di Nicolas Poussin (1594-1665) e Claude Lorrain (1600-1682)
Domenichino, Sibilla Cumana, 1622, olio su tela, 138x103cm., Musei Capitolini, Roma
Nel 1617, Domenichino riceve il pagamento per alcune commissioni del cardinale Pietro Aldobrandini: la Sibilla Cumana (Pinacoteca Capitolina), la Caccia di Diana (Galleria Borghese) e la l'Assunzione di Maria Vergine, collocata nel soffitto della chiesa di Santa Maria in Trastevere.
Domenichino, dettaglio del soffitto a lacunari con Assunta in Gloria, olio su rame, 1617, Santa Maria in Trastevere, Roma
A Trastevere, Domenichino progetta anche il soffitto a lacunari, in legno intagliato e dorato e nell'ottagono centrale, inserisce l'Assunta dipinta su rame.
Domenichino, La caccia di Diana, 1616-'17, olio su tela, 225x320cm., Galleria Borghese, Roma
Nella Caccia di Diana, Domenichino rielaborava lo stile dei celebri Baccanali di Tiziano, emulando la limpidezza di Raffaello e la sensualità di Correggio.
In primo piano, le due ninfe nude: una indica la scena sottolineando un piano diagonale del dipinto di memoria carraccesca, l’altra cerca lo sguardo dello spettatore, invitato ad ammirare la divinità, simbolo di castità e seduzione. Diana, attorniata da fanciulle, è rappresentata con l’arco in mano al culmine di una gara, immediatamente prima del castigo inflitto ai curiosi profanatori nascosti tra i cespugli a destra, ma scoperti dal levriero in procinto di attaccarli.Il dipinto doveva stare accanto a quelli di Giovanni Bellini, Dosso Dossi e Tiziano stesso, collezionati da Pietro Aldobrandini, ma Scipione Borghese, già allenato in veloci sottrazioni, fece prelevare la tela con forza dallo studio di Domenichino, pure trattenuto per alcuni giorni in prigione
E così, nel 1621, con l’elezione di Gregorio XV (1621-1623), Domenichino tornava nuovamente a Roma dove, a partire dalla fine del 1622, inizia il grandioso ciclo di affreschi della chiesa di Sant’Andrea della Valle (Lanfranco e Domenichino a Sant'Andrea della Valle).Nel 1618, l'artista lasciava Roma per tornare a Bologna, sposare Marsibilia Barbetti e battezzare il primo figlio nella cattedrale di San Petronio, dallo stesso cardinale Alessandro Ludovisi che, tre giorni dopo, diventerà papa
Domenichino, Rimprovero ad Adamo ed Eva, 1623-'25, olio su rame, Musée des Beaux-Arts, Grenoble
Appartengono a questi anni alcune opere emblematiche come il "Rimprovero ad Adamo ed Eva", soggetto noto in tre versioni, la più antica delle quali forse è questa di Grenoble, eseguita su rame.
La gestualità dei personaggi, svolta in una diagonale dal basso a destra, verso l'alto a sinistra, esprime chiaramente il sentimento di Adamo, che mentre stringe le spalle e apre le braccia verso Eva, rigetta la colpa inflitta dal Padre Eterno.
Malgrado il rigore compositivo, Domenichino dimostra una spontaneità consona alla lezione carraccesca, che non appartiene per esempio a Reni. Come nei paesaggi, così in questo caso nel "Rimprovero", l'artista introduce elementi realistici, figure più umanizzate, personaggi in cui la ricerca dello stato d’animo e dell'"affetto" è più vivo.Se il Padre usa una delle forme canoniche del rimprovero, il dito indice puntato, Adamo compie un movimento ben diverso e inedito per un campione di classicismo come Domenichino, una combinazione di gesti, quelli delle spalle e delle braccia, per nulla "ideali"
In questi anni, dipinge ancora pale d’altare per varie chiese romane, e porta a termine con Lanfranco, Reni ed altri artisti della scena romana, la decorazione della Chiesa di San Carlo ai Catinari (1628-1630).
Nel 1630, il pittore si reca a Napoli per decorare la più importante cappella del Duomo cittadino dedicata al Tesoro di San Gennaro. Domenichino realizzava i quattro pennacchi di una enorme cupola, affrescata da Lanfranco (Immagini della Cappella di San Gennaro). La Cappella diventa subito l'epicentro della nascitura pittura barocca, di matrice emiliana, a Napoli (Caravaggio e i caravaggeschi a Capodimonte).
Il soggiorno nella città partenopea per l'ultimazione della titanica impresa, accompagnerà Domenichino fino alla morte.
FOTO DI COPERTINA
Domenichino, Rinaldo e Armida, dettaglio, 1617-'21, olio su tela, 121x167cm., Museo del Louvre, Parigi
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