Firenze. Pietro da Cortona a Palazzo Pitti
Il Barocco e la "quadratura"
Pittore raffinato, abile frescante e originale architetto, il Berrettini diventava noto a Roma come Pietro da Cortona, l'artista della grande decorazione barocca (Cortona a Roma: i toscani nell'Urbe), avviata nel 1632 circa, con la maestosa volta Barberini decorata a sigillo della famiglia di Urbano VIII (Palazzo Barberini: il manifesto del Barocco).
Nel 1637, il cardinale Giulio Sacchetti (1587–1663), primo promotore e mecenate del Berrettini, invitava l'artista in un viaggio verso Bologna, un grande occasione formativa, un grand tour alla scoperta della grande tradizione pittorica dell'Emilia e di Venezia.
Cortona opera a Firenze a più riprese, tra il 1637 e il '47, un decennio durante il quale lascerà in città diverse tracce. Ha già quarant'anni, ed è ancora operante a Roma, ma sceglie di donare alla capitale del Granduca la sua opera di architetto, frescante e pittore di pale per alcune chiese fiorentine.Appena arrivati a Firenze, Pietro da Cortona viene subito omaggiato dal giovane Granduca Ferdinando II che, riconosciuta la fama dell'artista di corte papale, chiede un saggio della sua arte di freschista nella dimora di Palazzo Pitti
Un personaggio chiave della permanenza fiorentina di Cortona, fu il letterato, Michelangelo Buonarroti il Giovane (1568–1646), pronipote del Genio cinquecentesco, mecenate e fedele alla casata medicea. Nei ripetuti soggiorni a Firenze, Cortona dimorava sempre a Casa Buonarroti e presso l'amico generoso lasciava omaggi di notevole rilievo e fattura, come gli affreschi della Camera degli Angioli, e della Notte e del Dì, uniti ad opere preziose e raffinate di tarsia lignea.
Nel 1637, Cortona è subito all’opera e in quattro mesi, realizza i primi due affreschi che adornano le pareti della Camera della Stufa, in origine una loggia aperta, poi chiusa nel Seicento e strutturata come “stufa” appunto, ovvero sala da bagno riscaldata con le tecniche delle terme romane, ad uso privato del Granduca che, a fianco di essa, aveva la camera da letto.Il decennio che Cortona trascorre in riva all’Arno, vide Firenze aprirsi faticosamente al Barocco e avviarsi, nella seconda metà del secolo, sulle nuove strade indicate da Roma e destinate a diffondersi in tutta l’Europa
La decorazione della Sala, era già stata avviata da alcuni maestri fiorentini che affrescarono volte e lunette, con temi ispirati all'antichità classica.
Cortona iniziò con un tema tratto da Ovidio, le "Quattro età dell’uomo" che molto probabilmente, fu suggerito dall'amico Buonarroti. Ai due primi riquadri, "l'Età dell’oro" e "l’Età dell’argento", seguirono, nel 1641, le ultime due scene, "l’Età del bronzo" e "l’Età del Ferro" (Immagini Sala della Stufa).
Il felice sgorgare di ottimismo, espresso nelle pareti della Stanza della Stufa, sottende un gioioso sentimento panico, tipicamente barocco, qualcosa di mai visto nei palazzi fiorentini ancora freschi di Manierismo toscano.Pietro sapeva dare un caldo senso di vita ai suoi sogni del passato e sapeva ricreare l’atmosfera degli antichi miti, evitando la freddezza di un artista classico
Francis Haskell
Nell’Età dell’Oro, il sogno ideale di poemi bucolici di Arcadia, si svolge in scenari ameni, con pastori, fanciulli e animali che convivono armonicamente, ad evocare il pacifico e felice governo di Ferdinando. L'idillio, voleva anche celebrare le nozze del Granduca, proprio nel 1637, con Vittoria della Rovere, un lieto evento a cui il pittore allude nella coppia di giovani che amoreggia sotto una quercia maestosa, simbolo araldico della Rovere, alla presenza di un leone che richiama l'emblema dei Medici.
Nel 1640, l'artista volle riprendere i lavori interrotti nella Sala della Stufa, con "l'Età del Bronzo" e "l'Età del Ferro". Di tono più concitato e rubensiano, frutto anch’esse di un dotto programma iconografico, nei due riquadri Cortona contrappone immagini di una società civilizzata, a scene violente attuate in tempo di guerra.Alla fine del 1637, Cortona andava in tour verso Bologna e Venezia, per ritornare poi a Roma e terminare il Salone Barberini, verso la fine del '39
Il nuovo grande ciclo della corte medicea, iniziato nel 1641, prevedeva inizialmente sette sale di rappresentanza, ma in seguito Cortona e aiuti ne realizzarono cinque, ciascuna delle quali assegnata a una divinità planetaria per omaggiare lo scienziato seicentesco per eccellenza, Galileo Galilei (Scienza, tempo e spazio), della recente scoperta degli “astri medicei”, ossia, i satelliti di Giove.Appena ultimata la Stanza della Stufa, Ferdinando II assegna a Cortona un compito ancora più vasto e importante, quello di adornare i soffitti dei futuri suoi appartamenti posti al primo piano di Palazzo Pitti
I lavori di queste stanze cominciarono, con l’aiuto di tre stuccatori arrivati appositamente da Roma. Dai documenti dell'epoca, la Stanza di Venere fu la prima ad essere affrescata e portata a termine dal Berrettini verso la fine del 1642, quando intraprese un breve ritorno a Roma, mentre gli stuccatori rifinivano il lavoro nei mesi seguenti (Immagini Stanza di Venere).L’ispiratore poetico delle Sale dei Pianeti, fu Francesco Rondinelli, bibliotecario del granduca, che predispose, sotto le immagini degli astri, le principali virtù che devono accompagnare un principe per tutta la vita, verso la gloria e l’immortalità
Nel 1643, Cortona iniziava il soffitto della volta nella Sala di Marte (Immagini Sala di Marte). I documenti di questo periodo, riportano nota delle grandi spese di doratura, destinata alle più sontuose Stanze di Apollo (Immagini Sala di Apollo) e di Giove (Immagini Sala di Giove), realizzate con l'allievo più diretto e dotato di Cortona, il romano Ciro Ferri (1634-1689), che eseguì i cartoni a Roma sotto gli occhi del maestro.
Ciro Ferri, scorcio del soffitto della Sala di Saturno, Palazzo Pitti, Firenze
La quinta e ultima stanza, quella di Saturno, fu interamente realizzata dal Ferri, tra il 1663 e il '65, ma questa volta fu lavorata su cartoni disegnati a Firenze.
Ciro Ferri, dettaglio di decorazione nella Stanza di Saturno, Palazzo Pitti, Firenze
Pietro da Cortona, malgrado lasciava incompiute alcune sale, è stato sicuramente responsabile del progetto totale, un ciclo decorativo di grande laboriosità tecnica, sia per l’organizzazione dei diversi cantieri nelle sale adibite con ponteggi, sia per il coordinamento degli aiuti. Oltre alle maestranze romane, con cui Pietro iniziò l’impresa, furono coinvolti anche giovani pittori fiorentini, uniti in team con un gran numero di specialisti, dai “tracciatori di cartoni”, agli stuccatori, doratori, scalpellini e manovali.
Pietro da Cortona, Agar e l’angelo, 1643 ca., olio su tela, John and Mable Ringling Museum of Art, Sarasota, Florida
In questi affreschi, come nelle sue tele della maturità, Cortona, apriva la strada a una pittura quasi en plein air, svolta in scene elegiache di natura trionfante. In paesaggi "veri", di un realismo che anticipa le soluzioni del vedutismo europeo di Giambattista Tiepolo (1696–1770), Cortona disponeva le sue morbide figure dialoganti, rese "vive" nell'espressione e nei gesti.
Daverio finisce il suo tour negli appartamenti sottostanti, dove i fiorentini Francesco Furini (1603–1646), e Ottavio Vannini (1585–1643), negli stessi di Cortona, portavano a termine tra il 1639 e il '42, alcuni affreschi celebrativi delle doti del Granduca, che già risentono dell'influenza di Cortona ("Lorenzo il Magnifico e l'Accademia platonica", "Allegoria della morte di Lorenzo", "Lorenzo il Magnifico circondato dagli artisti").
Cortona, come a Palazzo Barberini, porta a Firenze quella pittura illusionista fatta di prospettive aeree e sottinsù arditi che, fino ad allora, era riservata quasi esclusivamente alle chiese, adorne di visioni celesti in cupole e volte (Lanfranco e Domenichino a Sant'Andrea della Valle).
Le parole di uno dei maggiori conoscitori di Cortona, sono esaustive nel descrivere lo spirito del grande artista rivoluzionario e di corte.
Dal 1636 al '41, Ferdinando II chiamava a Palazzo Pitti i due più grandi "Maestri di quadratura", inventori della primizia tecnica, Michele Colonna (1604-1687), e Agostino Mitelli (1609–1660), per decorare tre sale di rappresentanza del quartiere estivo del palazzo. L'intervento dei due artisti, naturalizzati bolognesi, fu condotto secondo il più moderno linguaggio barocco, in sintonia con quello di Cortona.Quella fiducia assoluta di Cortona, tutta seicentesca, nelle risorse dell’ingegno, quasi metafisica e orgogliosa sublimazione della padronanza dei mezzi espressivi e degli accorgimenti del mestiere, quel pretendere, in altre parole, di saper la regola di romper le regole piú conosciute con qualcosa di nuovo e stupefacente, costituiva senza dubbio una sorta di carica vitale, una sicura riserva di energia che stimolava le forze dell’intelletto di fronte ai problemi piú ardui e alle soluzioni piú difficili
Giuliano Briganti
Michele Colonna e Agostino Mitelli, scorcio della Sala dell'Udienza, 1636-'41, Palazzo Pitti, Firenze
Questi artisti erano già molto attenti al loro pubblico, sapevano trovare soluzioni entusiasmanti e creare effetti di sorpresa e meraviglia per i loro facoltosi committenti.
La perfetta integrazione dell'illusionismo architettonico con lo spazio reale, verrà a costituire nell'ambiente fiorentino un insuperabile modello di riferimento nella decorazione d'interni moderni.
Michele Colonna e Agostino Mitelli, scorcio della Sala dell'Udienza, 1636-'41, Palazzo Pitti, Firenze
La "quadratura", si affermava a Bologna nel Seicento e si diffondeva, ad opera degli stessi Mitelli e Colonna, prima nelle corti italiane e dalla meta del Seicento, in Spagna, per arrivare così alle corti delle capitali europee.
FOTO DI COPERTINA
Ciro Ferri, dettaglio di decorazione nella Stanza di Saturno, Palazzo Pitti, Firenze