Chardin: la sostanza epidermica delle cose

Passepartout, 2015

Oh Chardin! Tu non unisci semplicemente del bianco, del rosso, del nero sulla tavolozza, tu unisci la sostanza delle cose, l'aria, la luce che tu afferri con la punta del pennello e trasferisci sulla tela
Denis Diderot

Jean-Baptiste-Siméon Chardin (1699-1779) è stato un grande pittore francese del Settecento divenuto noto per le sue innovative “nature morte” e per opere di genere dedicate in parte al mondo dell’infanzia. 
A lui guardarono i grandi artisti dell’Otto e Novecento per la sua peculiarità di aver saputo elevare gli oggetti di uso quotidiano e i gesti delle persone comuni a materia di rappresentazione artistica. Alcuni nomi: Paul Cézanne (1839-1906), Henri Matisse (1869-1954) e Giorgio Morandi (1890-1964), come qui ricorda in una puntata di Passepartout (Noi non siamo una macchina fotografica, 2010) il critico d’arte Philippe Daverio in occasione della mostra “Chardin. Il pittore del silenzio” (Ferrara, 2010-2011). 
Chardin fu contemporaneo di François Boucher (1703–1770) e per breve tempo fu anche maestro di Jean-Honoré Fragonard (1732–1806), ma la sua opera è sempre stata in netto contrasto con entrambi i colleghi francesi, pittori al servizio della corte.

Chi ha mai detto che si dipinge con i colori? I colori vengono sì impiegati, ma per dipingere ci vogliono i sentimenti
Jean-Baptiste-Siméon Chardin

Artista lento e meticoloso, in un catalogo esiguo di circa duecento opere, Chardin espresse il suo stile unico: un semplice e raffinato realismo fatto con una tecnica impeccabile che applicò da subito al genere umile della “natura morta”, all’epoca considerato “minore”. 
Influenzato dalla pittura olandese seicentesca di Vermeer (Vermeer, la luce, gli interni e la sua Delft), Chardin è stato un vero naturalista attento alla realtà epidermica delle cose, in contrapposizione al moderno e frivolo Rococò al quale la Francia stessa aveva dato avvio.
Nato a Parigi, Chardin frequentò gli atelier di pittori classicisti, esperti di scene storiche e allegoriche come Pierre-Jacques Cazes (1676–1754) e Noël-Nicolas Coypel (1690–1734). Tuttavia l’artista, per lo più autodidatta, rifiutava fin da giovanissimo i percorsi accademici distinguendosi tra i colleghi per non aver mai effettuato il tour in Italia. 
Tra tutti i generi pittorici Chardin evita proprio quello che nella Francia del Settecento sanciva la statura e la fortuna degli artisti, ossia la nobile “pittura di storia”. Pare che in giovane età il pittore iniziava a lavorare eseguendo insegne per negozianti e dipingendo dettagli per opere di altri artisti.
Nel 1728, l'Accademia Reale di Parigi, alla quale Chardin aveva sottoposto la propria candidatura con le prime “nature morte”, riconosce il suo talento e lo accoglie nei suoi ranghi come pittore di frutta e di animali. 

La scelta della “natura morta” non vincola il suo successo e presto Chardin si impone sulla competitiva scena parigina 

Negli anni Trenta del Settecento, il pittore estende la sua ricerca anche alla figura umana effigiata in ambienti domestici mentre svolge semplici mansioni quotidiane; spesso, in queste scene di ceti umili appaiono anche rampolli della borghesia francese. Nascono così capolavori come “Il garzone d'osteria”, “La governante” e “Il giovane disegnatore” ai quali si affiancano le toccanti raffigurazioni delle attività ricreative di adolescenti come “Bolle di sapone”, eseguito in tre versioni, o la “Bambina che gioca col volano” e il “Bambino con la trottola”.
In ciascuna di queste opere, attraverso una tecnica pittorica stupefacente, incentrata sul rapporto tra tono e colore e sulla variazione degli effetti di luce sugli oggetti e sulle persone, l'artista riesce a trasmettere all'osservatore l'emozione provata di volta in volta di fronte al soggetto. 
Daverio fa notare che questa “semplicità bonaria” verso gli umili è simile a quella del contemporaneo Pitocchetto (Giacomo Ceruti, il Pitocchetto).
Con questo spirito, Chardin dipinge, “Mazzo di fiori” (1755 circa) uno degli esiti più alti della sua arte, dove la straordinaria freschezza di esecuzione e la tavolozza dai colori audaci sono del tutto inedite rispetto alle opere del tempo.

A partire dal 1737, Chardin espone al Salon parigino: è un successo di pubblico 

L'innovativa pittura entusiasma gli intellettuali, tra cui il filosofo ed enciclopedista Denis Diderot che, nel 1763, osanna pubblicamente il realismo delle nature morte del pittore. Chardin fu molto apprezzato anche dal re di Francia Luigi XV, al quale donava la “Madre laboriosa” e il “Benedicite”, ricevendo in cambio la stima del sovrano che, nel 1757, gli offre il grande privilegio di dimorare e lavorare al Louvre.


Jean-Baptiste-Simeon Chardin, Autoritratto con cavalletto, 1779, Pastello, 40.5x32.5 cm., Museo del Louvre, Parigi

Intorno al 1770, Chardin iniziò a perdere la vista, un problema per il quale dovette rallentare l'attività ad abbandonare progressivamente la tecnica ad olio. 
La sua lunga carriera termina con un gruppo di commoventi ritratti a pastello. non ultimo, il suo autoritratto.
Per tutta la vita Chardin ha concepito la pittura come un mezzo per conoscere la realtà, evitando con cura i contenuti aneddotici e mirando a raggiungere un'arte senza tempo che riflettesse un'armoniosa perfezione tra forma ed emozione. 

FOTO DI COPERTINA
Jean-Baptiste-Simeon Chardin, dettaglio, Autoritratto con cavalletto, 1779, Pastello, 40.5x32.5 cm., Museo del Louvre, Parigi