La Corte di Napoli epicentro del gusto in Europa

Passepartout, 2001

In questo estratto (Napoli borbonica, Passepartout, 2001) Philippe Daverio, con lo storico dell’arte Nicola Spinosa e la giornalista e scrittrice Natalia Aspesi, rintraccia i principali momenti della corte cosmopolita dei Borbone che ha reso la città di Napoli, fin dalla metà del Settecento, un epicentro di novità culturali presto assorbite in tutta Europa (La Napoli dei Borbone).

Philippe Daverio introduce un’opera emblematica e di passaggio del gusto, una sorta di summa eclettica di Tardo Barocco e Rococò: la “Cappella Sansevero”

L’opera non è di un artista ma di un committente: Raimondo di Sangro Principe di San Severo (1710-1771), un originale esponente del precoce Illuminismo europeo, anche primo Gran Maestro della Massoneria napoletana. Il personaggio dalla poliedrica attività fu un valoroso uomo d’armi, un prolifico inventore, un letterato, uno “scienziato esoterico” e intraprendente mecenate. Nei laboratori sotterranei del suo palazzo napoletano, in largo San Domenico Maggiore, di Sangro si dedicava alle sperimentazioni più disparate nei campi delle scienze e delle arti raggiungendo risultati “prodigiosi” per la sua epoca: dalla chimica all’idrostatica, dalla tipografia alla meccanica. In virtù della sua concezione prevalentemente esoterica della conoscenza, di Sangro fu sempre restio a rivelare nei dettagli i “segreti” delle sue invenzioni. 

Il Principe Raimondo di Sangro alimentò un vero e proprio mito intorno alla propria persona, destinato a durare nei secoli

Il messaggio intellettuale di Raimondo di Sangro è passato alla posterità attraverso il ricco simbolismo della “Cappella Sansevero”. Il suggestivo e geniale progetto iconografico di cui fu ideatore, è stato in parte esplicato nella sua “Lettera Apologetica”, opera che destò sconcerto sia per l’eccezionalità tipografica, sia per il controverso contenuto, tanto da essere giudicata “una sentina di tutte l’eresie” e dunque, proibita dalla Chiesa romana.
Stabilitosi definitivamente a Napoli nella metà degli anni Trenta del Settecento, Raimondo di Sangro iniziava il riassetto della “Cappella Sansevero” solo nel 1750, ma i cantieri rimasero sempre aperti fino alla sua morte, come testimoniano centinaia di documenti conservati presso gli Archivi napoletani. Per compiere un progetto unitario Sangro coordinava presso Sansevero un gran numero di artisti e maestranze: ingegneri, architetti, pittori, scultori, stuccatori, falegnami e fonditori servirono un mecenate estremamente generoso ed esigente, maniacale nella cura dei dettagli, nella descrizione delle opere da eseguire e nella lunga serie di clausole a garanzia dell’opera. 
Ad inizio lavori, di Sangro chiamò a sovrintendente ed eseguire l’opera il celebre scultore veneto, già al servizio dell’imperatore Carlo VI, Antonio Corradini (1668-1752). Alla sua morte, lo succedeva il genovese Francesco Queirolo (1704-1762), ma i rapporti con il Principe si guastarono e ne seguì un processo che fece scalpore. Negli ultimi anni della sua vita, di Sangro si avvalse dell’architetto e scultore napoletano Francesco Celebrano (1729-1814). 
Altre maestranze degne di nota: lo scultore sorrentino Paolo Persico (1729-1780) che, tra la Cappella e il Palazzo del Principe, raggiunse una maturità tale da essere successivamente chiamato dai Borbone per la sfarzosa decorazione scultorea della “Reggia di Caserta” (La Reggia di Caserta), e il pittore Francesco Russo, autore dell’affresco della volta di Sansevero, già impiegato dal Principe nell’antisagrestia della “Cappella del Tesoro di San Gennaro”.
L’affresco della vota della “Cappella Sansevero”, firmato e datato 1749, raffigura la "Gloria del Paradiso" in un’immagine vorticosa che ricorda gli esiti del Barocco romano. Curioso il fatto che per l'affresco sono stati utilizzati colori preparati appositamente da Raimondo di Sangro, pigmenti oggi ancora vivi e intensi dopo più di due secoli e mezzo, pur non essendo mai stati restaurati. Il Principe, non soddisfatto dall'opera del Russo, lasciò indicato nel suo testamento di far riaffrescare la volta della Cappella dal miglior artista disponibile. Non fu ascoltato.
Infine, il giovane scultore napoletano Giuseppe Sanmartino (1720-1793), realizzò il “Cristo velato”, posto al centro della navata della Cappella, opera che inizialmente era stata affidata ad Antonio Corradini, del quale esiste solo un bozzetto in terracotta. Scolpita a grandezza naturale nel 1753, il Signore Gesù Cristo appare coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua

L’originale messaggio stilistico sta tutto nel velo, un sudario che registra i palpiti, una pietosa copertura che rende ancor più nude ed esposte le membra martoriate

Con estrema sensibilità e bravura, Sanmartino scolpisce e scarnifica il corpo senza vita che appare tra i panneggi e le pieghe del velo: la vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani sottili, il costato scavato e rilassato nella morte liberatrice sono segni di una ricerca intensa e di maniera. 

Lo scultore “ricama” minuziosamente i bordi del sudario e si sofferma sugli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo restituendo l’evocazione drammatica della sofferenza

Daverio si sofferma sulla data di quest’opera, il 1753: proprio quell'anno, l'architetto Luigi Vanvitelli (1700–1773), sotto influenza dei primi scavi di Ercolano e Pompei, trasformava il gusto e la cultura dell’epoca favorendo il passaggio dal Rococò al nuovo gusto Neoclassico (Neoclassismo). 
Nella sua Reggia di Caserta (La Reggia di Caserta), Vanvitelli supera lo stile decorativo Rococò della corte francese per recuperare la suggestione romana della “colonna piatta” e molto allungata, come appare negli antichi affreschi pompeiani.  

A queste date, la corte di Napoli diventa l’epicentro del nuovo gusto che arriverà a Parigi solo con il Regno di Luigi XVI, vent’anni dopo

Un’ulteriore trasformazione del gusto avviene a seguito della riscoperta dei Templi di Paestum (Paestum e la fortuna del dorico) con la nascita di un “classicismo dorico” (Nicola Spinosa), che sostituisce la colonna ionica, più slanciata ed elegante. Ne segue un’immagine dell’architettura meno decorata, più arcaica, monumentale e razionale. 
Con le sue stampe, Giambattista Piranesi (Giovanni Battista Piranesi, 1720-1778) diffondeva la novità, mentre il pittore francese Jacques-Louis David (1748–1825) ne coglieva l’essenza nei suoi “quadri storici”. 
Anche importanti architetti d’avanguardia, italiani e francesi, proponevano lo stile “dorico”: da Boullée e Ledoux, a Giuseppe Piermarini (Milano Neoclassica) e Luigi Canonica (1762–1844), fino a Napoleone, che lo farà suo nello “Stile Impero” e Giacomo Quarenghi (1744–1817), che porterà il nuovo ordine a San Pietroburgo.
Un altro importante cambiamento del gusto dell’epoca riguarda una sorta di eclettismo che prende piede sia nell’architettura partenopea, sia nelle arti minori dove il gusto per l’Egitto e la Cina, domina sovrano. 
Capolavoro di ecclettismo, la “Palazzina Cinese” di Palermo (I Borbone e la privacy) realizzata dall’architetto Giuseppe Venanzio Marvuglia (1729-1814) nel 1799, quando il gusto per la “cineseria” era già diffuso nelle corti europee da circa quarant’anni.  Ma qui l’ecclettismo è veramente estremo, perché Marvuglia usa un repertorio formale molto vasto dove le moltissime suggestioni orientali si mischiano con quelle pompeiane, dunque greco-romane antiche.  
All’interno della “Palazzina Cinese” Daverio mette in evidenza la ricchissima decorazione orientaleggiante ancora intatta e ben conservata, le porte scorrevoli dell’appartamento di Maria Carolina e i piccoli vani decorati in stile pompeiano.  
La “Palazzina Cinese” di Palermo, eretta dai Borbone, farà scuola vent’anni dopo nell’Ottocento, quando l’eclettismo diventerà lo stile predominante in Inghilterra. 

FOTO DI COPERTINA
La Palazzina Cinese di Palermo