Klimt, la Secessione e il Fregio di Beethoven

L'Inno alla gioia e la fine di un'epoca

Abbracciatevi, moltitudini! Questo bacio vada al mondo intero! Fratelli, sopra il cielo stellato deve abitare un padre affettuoso. Gioia si chiama la forte molla che sta nella natura eterna. Gioia, gioia aziona le ruote nel grande meccanismo del mondo
Friedrich Schiller, Inno alla gioia, 1786

L’esortazione dei versi di Schiller, musicati da Ludwig van Beethoven nel 1824, invitava ad abbracci di unione e gioia, un messaggio ripreso nel 1902 per la XIV Mostra della Secessione viennese, interamente dedicata al genio titanico della musica, in occasione del 75° anniversario di morte. 
L'esposizione rappresentò il vertice della Secessione viennese, un gruppo di giovani, studenti dell'Accademia, riuniti a Vienna, nel 1897, sotto la guida spirituale di un eccentrico pittore, Gustav Klimt (1862–1918). 
Klimt capeggiava diciannove artisti decisi di staccarsi dall'istituzione imperiale per fondare un'associazione artistica austriaca indipendente, la cui produzione non fosse più assoggettata alla committenza.
Il gruppo passò alla storia come la Secessione Viennese, un movimento capace di una rivolta edipica contro i padri del vecchio regime, emblemi della borghesia conservatrice e cieca.

La Secessione viennese nasce in difesa della "liberta dell'arte” 

Dopo aver decorato i palazzi del potere (Gli esordi di Gustav Klimt), Klimt diventava il paladino dei secessionisti inaugurando così la stagione della piena maturità visibile nel Fregio di Beethoven, opera emblematica realizzata per la grande mostra del 1902. 
In quegli anni, il grande musicista tedesco godeva di molta fama a Vienna, anche per la pubblicazione della prima biografia, la vita di Beethoven, che ne consacrava il culto, alimentato dalla venerazione della generazione romantica di Franz Liszt e Richard Wagner (Beethoven, il mito e un unico ritratto live). 

Beethoven per i secessionisti simboleggiava la nuova figura dell'artista, il suo essere libero da costrizioni sociali, il suo operare in comunità e per la comunità 

Vienna, a fine Ottocento, era una delle capitali europee più colte e raffinate: la abitavano musicisti, fra cui i padri della dodecafonia (Gustav Mahler e Arnold Schönberg), medici dell'inconscio (Sigmund Freud), intellettuali filosofi e pensatori (Ludwig Wittegenstein), scrittori (Robert Musil e Arthur Schnitzler) e ancora, giovani pittori, architetti, scultori e designer, tutte figure riunite nella Secessione
Nella capitale "biedermeier", mai si era vista una simile concentrazione di cervelli consapevoli della prossima fine, quella dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico che andava alla deriva con la Prima guerra mondiale.

A ogni epoca la sua arte all'arte la sua libertà"
Iscrizione sul prospetto del Palazzo della Secessione viennese

La grande mostra si tenne al Palazzo della Secessione di Vienna, un edificio costruito nel 1898 dal maggiore esponente dello Jugendstil, Joseph Maria Olbrich (1867-1908), architetto austriaco co-fondatore del gruppo, con il collega Josef Hoffmann (1870-1956) e il pittore e designer Koloman Moser (1868-1918). La bianca Palazzina, decorata nella cupola con foglie dorate, era stata progettata per ospitare sempre nuove esposizioni in uno spazio modulabile ad esigenze e occasioni diverse (Un moderno Palazzo per la Secessione viennese). Hoffmann curò gli spazi interni della mostra intervenendo per creare una “zona templare” capace di ospitare l’opera chiave, il Fregio di Klimt dedicato a Beethoven (Josef Hoffmann, architetto e designer). 

All'entrata, al centro del salone, troneggiava un monumento policromo di bronzo, marmo, onice, avorio, madreperla e opale: "l'Apoteosi di Beethoven"

Scolpito da Max Klinger (1857-1920) e trasportato su un treno da Lipsia a Vienna, diviso in cinque parti, la statua di quattro tonnellate riecheggiava il colosso crisoelefantino in oro e avorio di Zeus, eretto da Fidia nel Tempio di Olimpia. Con l’Apoteosi di Beethoven, Klinger guardava all'immagine nietzschiana del Prometeo liberato, per dire che il “superuomo”, quale era stato Beethoven, poteva riscattare la sua tragica esperienza terrena attraverso l'arte. 
Tale assunto percorreva l'intera esposizione curata da Hoffmann in maniera "totale": arredi, decorazioni, manifesti e cartoline pubblicitarie e per finire, le opere dei ventuno artisti. 

La mostra aspirava ad avvicinare le arti, musica, pittura, scultura, architettura, design e poesia, nella realizzazione di un ideale: “l’opera d’arte totale” 

Teorizzata dal grande musicista tedesco Richard Wagner (1813-1883), “l’opera d’arte totale” significava un'esperienza coinvolgente delle arti che esprimesse l’essenza di “arte e vita”. 
L’inaugurazione della XIV Mostra secessionista avvenne nella perfetta sinestesia di un programma ideato e realizzato con passione da parte del gruppo di artisti capaci di creare e condividere idee.
Il giorno dell'inaugurazione aprì con l'esecuzione di "Inno alla gioia" diretto dal compositore Gustav Mahler (1860-1911) che, in un tripudio musicale dell’ultimo movimento di Beethoven, annunciava un festoso messaggio di libertà. 

La mostra risulterà troppo moderna, perché “esperienziale” e non pedagogica come, fino ad allora, era stato concepito lo spazio museale 

Prima di questa mostra, gli interni delle esposizioni presentavano le opere su fondali scuri ed erano i soggetti, più che gli autori, a dettarne la sequenza espositiva. 
Hoffmann progetta pareti bianche, trattate con cemento grezzo per rendere lo spazio neutrale. Questa neutralità, verrà ripresa ed esaltata fino all'astrazione dal Fregio di Klimt che, situato nella sala laterale sinistra, si sviluppava in una narrazione a fascia lungo le tre pareti superiori, senza nessuna cornice, nel dialogo con lo spazio circostante. 
L'artista articolava una rappresentazione allegorica di trentaquattro metri, con temi ispirati alla Nona sinfonia, presentata sinteticamente in catalogo da scritti di Wagner relativi al compositore tedesco. 

Con il Fregio, Klimt entra nel periodo aureo che molto deve alla scoperta dei mosaici bizantini visti in viaggio a Ravenna

La forte suggestione della bidimensionalità qui raggiunge l'apice. L’artista è memore del segno incisivo della pittura vascolare greca ed egizia, così come delle stampe giapponesi di gran moda, ma soprattutto della riscoperta del mosaico bizantino visto a Ravenna. 
Pensato per non durare oltre la manifestazione, Klimt dipinge il Fregio direttamente sulla parete di intonaco alla quale, applica un incannucciato, tempestato di pietre dure e madreperla.  
La scelta compositiva è assolutamente inedita. Diviso in tre parti, il fregio inizia nella parete sinistra con Il Desiderio di felicità, prosegue in quella centrale con L’umanità che soffre e le forze ostili e finisce a destra, con Le arti e il coro degli angeli.
La lunga parete sinistra, originariamente di fronte all’ingresso della sala, è lasciata quasi completamente nuda; nel margine superiore un sottile ricamo di figure femminili distese e a malapena tratteggiate, conduce lo sguardo dello spettatore verso un gruppo isolato, il sofferto anelito umano alla felicità.
Un uomo forte, il Cavaliere nelle sembianze dello stesso Mahler, voltato verso destra, è rappresentato nei panni di guerriero in armatura dorata, mentre si prepara a superare una serie di avversità, spinto dalle suppliche di due donne nude e un'altra coppia inginocchiata davanti a lui.

La parete centrale più corta, presenta "L’umanità che soffre e le forze ostili" 

La scena è gremita di figure a simboleggiare la vita irta di ostacoli che il Cavaliere dovrà attraversare per raggiungere la felicità. L'universo malefico è femminile: donne con poteri fatali e castranti circondano Tifeo e le figlie, le tre Gorgoni, parodia maligna delle “Tre Grazie”. Poste in alto, le loro compagne impudiche e terrificanti, personificano malattia, follia e morte. Il mostro Tifeo bestia, ibrida dalla testa di scimmia, gli occhi luccicanti di madreperla e il corpo di drago, impersona l'ottusità materialista contro cui il Cavaliere, l'artista, deve lottare per affermare il regno dell'arte. A destra, altre tre figure femminili incarnano incontinenza, voluttà e lussuria e isolata da queste, l’Angoscia si torce avvolta tra le spire di serpenti, mentre in alto, i desideri e le aspirazioni degli uomini volano via.
Sulla terza parete, scandita in due episodi separati, ecco la redenzione: L’anelito della felicità e la Poesia, un’affilata figura femminile, arcaica e orientaleggiante che suona la cetra. Più oltre, delle figure nude, simbolo delle arti, introducono il paradiso di pace e amore. Un coro di angeli canta l’Inno alla gioia, finale della Nona di Beethoven e circonda una sorta di campana fallica, che racchiude una coppia di amanti stretti nell'abbraccio. 

La liberazione dal male avviene attraverso il raggiungimento dell'estasi amorosa, nell'abbraccio pieno di allusioni di una coppia

L'artista di spalle, nudo nella sua fisicità, spogliato della corazza, senza volto ne sentimento, è un eroe vittorioso e nello stesso tempo, un amante soggiogato dalla sua donna. 
L'immagine celebra la liberazione, il trionfo dell'eroe sulle forze ostili, la sua resa al potere all'Eros, dunque la vittoria dell'universo dei sensi sulle paure terrene. 

Il riscatto dell'artista attraverso l'arte è la metafora del rapporto uomo-donna 

Per raggiungere la donna e congiungersi a lei, il Cavaliere ha dovuto attraversare gli inferi, sconfiggere le forze del male e resistere alle tentazioni di sirene malvagie.
Nella Vienna della psicanalisi, le forze dell'inconscio minacciano non tanto lo status sociale dell'artista, quanto la propria identità maschile messa in crisi dalla fine di un'epoca, quella dei padri. 
Anche se non va sottovalutato lo spirito sostanzialmente ottimista del Fregio, l’apoteosi del bacio che riprende la frase “Abbracciatevi, moltitudini! Questo bacio vada al mondo intero!”, la presenza di temi disturbanti come lascivia, malattia e morte, funzionali a ricreare la struttura dinamica della sinfonia di Beethoven, determina un contrasto tra la stupefacente bellezza pittorica e la rappresentazione dei lati oscuri dell’esistenza umana. 

Klimt si ferma qui, nella ricca superficie bidimensionale dei suoi capolavori, toccherà all'allievo e amico Egon Schiele il passo successivo verso i profondi meandri di un Espressionismo già latente 

Klimt, maestro dell'età wagneriana, del culto dell'oro, del lusso e del sangue, incarna i sogni di apoteosi della grande borghesia viennese, mitigati con la suggestione decorativa bizantina, nel tono dell'eleganza e della giusta distanza, a controllo dei suoi detrattori. 
Il Fregio di Beethoven fu subito rifiutato dalla critica, suscitando un'ondata d'indignazione pubblica per gli evidenti riferimenti agli organi sessuali; l'Esposizione si rivelò un fallimento dal punto di vista finanziario.  
Nel 1903, il collezionista Carl Reininghaus acquistò il Fregio e lo divise in sette parti. Nel 1915, Reininghaus vendette l'opera all'industriale ebreo August Lederer, uno dei sostenitori e collezionisti più importanti di Klimt. Nel 1938 il governo nazista confiscò l'opera che fu restituita ai Lederer solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1973 il Fregio di Beethoven è acquistato dal governo austriaco e sottoposto a un restauro di dieci anni. Dal 1985, è tornato al Palazzo della Secessione in un locale appositamente creato per ospitarlo nella sua interezza. 

FOTO DI COPERTINA
Fotografia del 1905 del Palazzo della Secessione a Vienna