Amore e teatro nell'opera di Antoine Watteau

La Francia al potere con il Rococò

Con la fine del regno di Luigi XIV (1638-1715), il progetto di grandezza di Re Sole, durato ben settantadue anni, finisce. Il nipote del monarca, Filippo II di Borbone (1674–1723), duca D’Orléans, personaggio ambizioso e amante delle arti, prendeva abilmente lo scettro del potere in veste di tutore dell’erede al trono, Filippo XV (1710–1774) di soli cinque anni.

La corte francese tornava così a Parigi lasciando le immensità barocche di Versailles. A partire da ora, l’epicentro dell’arte e della cultura europea si spostava da Roma alla capitale francese

La vita politica, intellettuale e artistica iniziava ad abitare nei salotti parigini, nei piccoli giardini, negli intimi boudoirs, spazi più adatti alle avventure galanti della nobile società settecentesca. 
Il gusto Rococò, inaugurato proprio in Francia, sostituisce la grandezza e la possenza del Barocco con l’esaltazione del piccolo formato, la ricercatezza di oggetti rari ed esotici, il gusto per effimero e uno sfoggio di parrucche all’ultima moda sempre più eccessive. 
Alla simmetria e alle fome desunte dal verbo del classico, subentra una nuova grammatica ispirata alla vegetazione della natura: decorazioni frastagliate e asimmetriche, rocce rare, conchiglie inventate, un linguaggio astratto simile agli esiti del Manierismo cinquecentesco, definito dal pittore francese François Boucher (1703–1770), Rocaille.
In quest’epoca di grandi cambiamenti pure il sistema dell’arte subisce una radicale trasformazione: nel Settecento, infatti, avvenne non solo il declino del mecenatismo dei re, ma si avviava anche un lento processo di laicizzazione che, con l’Illuminismo, toglieva potere al clero. Tutto questo andò a favore di un nuovo mercato dell’arte vivace e fluttuante sostenuto da pensatori liberi, colti e di gusto raffinato, dagli aristocratici, alla nuova borghesia in ascesa. 
Il nuovo scenario francese dell’arte offrirà ad artisti come Antoine Watteau (1684-1721) nuova clientela da soddisfare, sia con l’offerta di fresche iconografie desunte dalla rivisitazione di generi seicenteschi in chiave contemporanea, sia con la qualità dei suoi pennelli, una pittura raffinata appresa dallo studio di grandissimi artisti quali Rubens e i veneziani del Cinquecento. Sarà il gusto più sopraffine dell’epoca, quello di collezionisti, intenditori e mercanti ad accoglie l’operato di Watteau per originalità e bravura tecnica. 


Antoine Watteau, L'insegna di Gersaint, 1720, olio su tela, 166x306cm., Castello di Charlottenburg, Berlino

Sua, è un’opera simbolica di questo passaggio epocale, politico, sociale e di gusto: “L'insegna di Gersaint” dipinta un anno prima di morire per il negozio di un importante personaggio parigino, François Gersaint (1694-1750) che avrà un ruolo centrale nello sviluppo del mercato dell'arte. Situata presso Pont Notre-Dame, la bottega di quadri di Gersaint serviva una clientela aristocratica interessata ad oggetti d'arte e piccoli beni di lusso. L’insegna di Watteau, realizzata ad olio e in pochi giorni su grandi dimensioni, fungeva da vetrina su strada mostrando l’interno della galleria. Opera con funzione “effimera”, “l’insegna” rimase esposta per due settimane circa, cogliendo grandi favori dai passanti. 

Nel Seicento, s’erano già visti dipinti barocchi che ritraevano le gallerie di sovrani, ma ora siamo di fronte ad una scena di negozio borghese, dove l’arte è in vendita “per tutti”  

Watteau dipinge lo svolgimento di un rito mondano, damigelle in vesti cangianti e giovanotti in parrucca che si muovono tra quadri all’ultima moda. 
Sulla sinistra del dipinto, Watteau mostra un commesso che pone in una scatola il ritratto del defunto re Luigi XIV mentre, una signorina lo degna appena di uno sguardo. È una chiara metafora della fine dei fasti del vecchio regime, un commento ai tempi del licenzioso governo di Filippo d'Orléans, prima della salita al trono di Luigi XV.
Da un punto di vista stilistico, le figure di Watteau sono già molto lontane dalle donne monumentali e carnose di Rubens; tuttavia, il pennello nervoso, a guizzi di colore con il quale schizza le sue figurette esili è ripreso e reinterpretato dallo stesso fiammingo.

Ma chi era questo Watteau capace di cogliere profondità psicologiche, sentimenti e passioni in tele dedicate per lo più al tema dell’amore e del teatro?

Nato a Valenciennes, dopo aver studiato nella cittadina natale, il giovane si stabiliva a Parigi (1702) dove, presso un atelier, iniziava a fare copie di dipinti di genere popolare nella tradizione fiamminga e olandese. 
Watteau frequentava già allora i mercanti di stampe e proprio in questi ambienti, conosce il pittore di soggetti teatrali Claude Gillot (1673-1722), che presto gli trasmette la passione per i personaggi e le scene di teatro; Watteau lavora con lui fino al 1708 circa. “Arlecchino imperatore della luna” (1708) testimonia la passione per la “Commedia dell’arte” italiana, un tema quello delle maschere, che avrà a cuore tutta la vita.
In questi anni, la frequentazione del curatore d’arte di “Palais du Luxembourg” Claude Audran III, gli permette di lavorare a cicli decorativi, ma soprattutto, di entrare a visitare una serie di Rubens unica al mondo: le grandiose composizioni del Ciclo di Maria de' Medici (Rubens, il Principe del Barocco). 
Dal pittore fiammingo, importantissimo per la sua maturità pittorica, Watteau apprende la maestria del pennello, il caldo e trasparente cromatismo e la sapienza compositiva, aspetti che reinterpreta in chiave settecentesca. 

Gli angoli più suggestivi del Parco del Luxembourg, inoltre, costituirono un'ispirazione per la pittura dal vero, per il gusto paesistico, per il senso poetico dell'ora e della luce

Scene affollate, rese in modo molto realistico e prive di finzioni accademiche, come “Bivacco” (1709), soggetto militare che ritrae gli aspetti più semplici e meno vistosi della routine quotidiana delle truppe, o ”Satira contro i medici”, sono entrambe scene di paesaggio.
Nel 1715, soggiorna presso Pierre Crozat, mercante e collezionista di stampe antiche; per lui, l’artista eseguirà quattro pannelli decorativi raffiguranti le stagioni. 
È in questo momento che la grande pittura veneziana, da Giorgione a Tiziano, esercita un forte impatto su Watteau, abile nello studiarne e copiarne lo stile presso le collezioni del tempo. Ricordi tizianeschi sono evidenti in opere come “Ninfa e satiro”, conosciuto anche come “Giove e Antiope” (1715-16 ca.), o in “Donna nuda che si toglie la camicia” (1717-19 ca.)
Il corpo nudo e pallido di Antiope abbandonata nel sonno rivela uno spiccato interesse per il colorismo veneto e ricorda le versioni più antiche dello stesso soggetto realizzate da Correggio, Tiziano e Rubens. La forma ovale del quadro è probabile rimandi alla funzione di sovrapporta incastrata in una boiserie. La ninfa, inoltre, risente dell’influenza della scultura antica, specie dell’Amore dormiente conosciuto attraverso varie versioni.
Degli anni della maturità, “Donna nuda che si toglie la camicia” (1717-‘19) un raro nudo femminile che mostra una donna seduta ripresa da un vivido disegno dal vero dell'artista (British Museum). Il dipinto, tipico esempio di gusto libertino e voyeuristico settecentesco fu realizzata da Watteau e il conte di Caylus, archeologo, pittore e antiquario francese, collezionista di dipinti e amuleti erotici. I due presero in affitto una stanza per far posare donne nude in un‘epoca in cui i modelli d'Accademia erano solo maschili. Dalla insolita pratica, nasceva questo dipinto straordinario per intimità ed immediatezza, concetti che divennero più accettabili solo tra Sette e Ottocento.
Di difficile datazione, l’opera di Watteau si distingue sostanzialmente in due gruppi, veri e propri cicli figurativi ispirati ai suoi temi più cari: le “Feste galanti” e il “teatro”. 
L’intrattenimento amoroso, tema molto comune nella pittura nordica di Jan Steen, è ripreso in “Passo falso” (1717), dove una giovane coppia è appartata tra i cespugli. La fanciulla, rappresentata di schiena, cerca di respingere senza troppa convinzione l’intraprendenza del partner, un satiro rosso di desiderio che, cingendole la vita con il braccio sinistro, vuole distenderla sull’erba. Nessuna indicazione insinua la possibile vittoria del giovane, così come l’improbabile resistenza della giovane fanciulla. 

Watteau si diverte a giocare su queste ambiguità, sull’intreccio di erotismo e pudore

Musica, danza, piacevoli conversari sono le caratteristiche delle “Feste galanti” un genere pittorico inventato da Watteau e dedicato agli svaghi dei nobili francesi: riunioni nei parchi delle residenze di campagna, balli, convegni, piacevoli conversazioni e battute di caccia. Watteau fissa la socialità artificiosa e spensierata del regno di Filippo d’Orleans in “Incontro di Caccia” (1717-18), e “Festa d’amore”. 
Suo capolavoro indiscusso, “Imbarco a Citera” (1717) dove un gruppo di pellegrini nell’Isola di Venere, si stanno accingendo a lasciare il posto. Il dipinto, che li valse il titolo all’Accademia di Parigi, mostra l’isola dell’amore sotto lo sguardo vigile di un’erma di Venere. Alcune coppie amoreggiano, altre si avviano verso la navicella dorata che servirà al viaggio nuziale; i vogatori sono pronti a salpare sotto una corona di putti svolazzanti.
Da destra verso sinistra, cioè dal boschetto in direzione della nave, gli atteggiamenti delle varie coppie sono pensati come in un tragitto psicologico: dalla persuasione, al consentimento, al pieno accordo amoroso.

Il colore denso e vivace ricorda l’amato Rubens, come la composizione libera e ariosa, i cui personaggi sono distribuiti secondo una linea ondulata che richiama l’andamento di una ghirlanda

 “Feste veneziane” (1717), uno spaccato di vita sull’atmosfera del Settecento lagunare, rimanda alle commedie di Carlo Goldoni e ai dipinti di Pietro Longhi (Pietro Longhi in un racconto di Anna Banti); tra i partecipanti mascherati, l’uomo a sinistra vestito all’orientale, è Pantaleone. 
Dal 1720 al 1780, il teatro francese viveva un periodo brillante: i drammi di Voltaire, interpretati da attori eccellenti, dominavano il palcoscenico Nel 1803, un teatro venne costruito anche nel Palazzo Reale di Parigi, frequentato da Moliere. 
Watteau scopriva nella realtà francese una varietà di tipi: non solo poveri e nobili, ma anche attori di spettacoli e teatri. Il genere pittorico non era nuovo, ma Watteau riusciva ad infondere un'aura ideale, una sorta di distacco da tempi e luoghi reali, nella commistione di costumi teatrali e abiti alla moda, nell'interazione psicologica tra i personaggi fatta di gesti, sguardi e nel loro rapporto con l'ambiente sapientemente concertato nelle luci e nei colori.
Tra i molti i dipinti che l’artista dedica al teatro e ai suoi personaggi, alcune scene son tratte delle rappresentazioni della compagnia del “Théâtre de la Comédie Française”, con attori professionisti, come in “L'amore al teatro francese” (1719), o in “I Commedianti francesi” (1720-21).
Acutezza d'indagine, raffinate sfumature d'interpretazione si rivelano nelle maschere e nelle scene d'insieme dedicate alla “Commedia italiana dell'arte”. In “Commedianti italiani” (1720), l'artista colloca gli attori in un palcoscenico mentre si mostrano al pubblico dopo la rappresentazione. Tutti gli artisti continuano a recitare le loro parti, interagendo e gesticolando in modo espressivo, tranne Pierrot, il clown innamorato al centro. Vestito di bianco splendente, sta immobile e sorride leggermente con gli occhi sfocati, come si rifiutasse di recitare ulteriormente. 

Watteau, affascinato dal confine labile tra vita e teatro, realtà e performance, con questo Pierrot ci invita a considerare chi siamo quando usciamo dai nostri ruoli 

Quasi struggente, un altro “Pierrot”, noto anche come “Gilles” (1718-19 ca.) mostra un uomo malinconico, con lo sguardo triste e perso verso lo spettatore. Alle spalle, altri personaggi lo scherniscono. L'opera fu commissionata a Watteau dall'amico attore Belloni, noto per aver vestito i panni di Pierrot; questi, desiderava un'insegna per la sua nuova caffetteria, “Au Caffè Comique” che l'attore condusse dopo l’uscita dalle scene teatrali. Belloni aveva allora superato i trentacinque anni, un'età paragonabile a quella del protagonista del dipinto, per cui, si ipotizza che il Pierrot di Watteau fosse proprio il suo ritratto.
Altro personaggio della “Commedia italiana” “Mezzetin” (1718-20 ca.), uno dei tanti nomi dati allo Zanni, maschera popolare qui ritratta mente canta una serenata nel giardino dell’amata. Watteau lascia intendere che la donzella abiti una finestra del palazzo rappresentato con un muro a destra. Alle spalle del chitarrista, nel mezzo di una folta vegetazione, una statua di Venere è inquadrata di schiena, un simbolismo figurativo di segno negativo, per cui Mezzetin non verrà ricambiato dalla donna.
Nel 1719, gravemente malato di tisi, Watteau si recava a Londra per consultare un dottore, ma persa ogni speranza di guarigione, tornava a Parigi; qui, per sostenerlo emotivamente, Gersaint gli commissionava l'insegna del suo negozio di quadri.  
Per oltre due secoli, l’opera di Watteau rimarrà confinata tra quella di “genere minore”, essendo il suo catalogo quasi privo di pittura sacra e di storia. 

Watteau, carnevale dove cuori famosi, come farfalle bruciano volando, lieve, fresco scenario che colma di follia, i lumi di un ballo che turbina senza posa
Charles Baudelaire
I Fari, da "I Fiori del Male"

Watteau avrà tra gli artisti una notevole influenza: sarà molto amato dagli inglesi, come il suo contemporaneo William Hogarth (Le “Storie morali” di William Hogarth) e poi dal grande paesaggista romantico William Turner.
In Francia, l’artista fu pienamente rivalutato a fine Ottocento grazie ai fratelli Goncourt e ai poeti simbolisti Baudelaire e Verlaine che, attratti dalle sue atmosfere, avviarono una complessa interpretazione della sua opera in chiave di mistero.

FOTO DI COPERTINA
Antoine Watteau, dettaglio, Pierrot, detto anche Gilles, 1718-19 ca., olio su tela 184x149cm., Museo del Louvre, Parigi